Il figlio di Riina intervistato a “Porta a Porta”: bufera sulla Rai

Nella puntata di ieri, 6 aprile, nel corso della trasmissione “Porta a Porta” in onda su Rai 1, Bruno Vespa ha trasmesso un’intervista in esclusiva a Salvatore Riina Junior, il figlio del capo dei capi. Già prima della messa in onda, la puntata ha scatenato una bufera sul conduttore e sui vertici Rai. «Non mi interessa se le mani di Riina accarezzavano i figli, sono le stesse macchiate di sangue innocente. Non guarderò Porta a Porta» ha scritto ieri su Twitter il Presidente del Senato Piero Grasso. «Se questa sera andrà in onda l’intervista al figlio di Totò Riina – ha annunciato ieri la Presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi –  avremo la conferma che ‘Porta a Porta’ si presta ad essere il salotto del negazionismo della mafia e chiederò all’Ufficio di Presidenza di convocare in Commissione la Presidente e il Direttore generale della Rai». L’audizione si è infatti svolta oggi pomeriggio alle 16, con la presidente della Rai, Monica maggioni e il direttore generale Antonio Campo Dall’Orto.


Comunque sia, ieri sera i vertici Rai hanno deciso di mandare in onda ugualmente l’intervista di Bruno Vespa al figlio di Riina, sostenendo in pieno il conduttore. L’intervista parte dal libro di Salvatore Riina Junior, “Family Life”, in cui si racconta l’infanzia e la quotidianità di quella che Riina definisce una famiglia serena, nonostante il padre fosse latitante già da 8 anni alla sua nascita, e lo sarebbe stato per altri 15. Racconta che, quando capitava di andare al mare o in giro, tutti salutavano il padre con rispetto. Che la madre se ne era innamorata perché era “un uomo tutto d’un pezzo”. Racconta, incalzato da Vespa e dalla visione delle immagini della strage di Capaci, di non aver mai pensato che il padre fosse coinvolto, nonostante sui giornali e in televisione il loro cognome si ripetesse in continuazione. «Per noi era normale, questo cognome ricorreva sempre, ma era come tutte le altre cose di cui mio padre era accusato: non abbiamo mai pensato che fosse colpevole».


Nel libro non c’è una parola, nessun accenno che faccia pensare a un rifiuto o a una condanna di tutte le azioni criminose e gli assassinii per cui Totò Riina è stato condannato.  «Amo mio padre – ha detto il figlio a Porta a Portanon sono io a doverlo giudicare. Amo mio padre, mia madre, e i valori che mi hanno insegnato»Alla scottante domanda di Bruno Vespa «Cos’è la mafia?», Riina Junior risponde: «Non me lo sono mai chiesto, non so cosa sia. Oggi la mafia può essere tutto e nulla. Omicidi e traffico di droga non sono soltanto della mafia». Vespa ha accolto accuse e critiche con stoicismo, pienamente convinto della necessità di mandare in onda l’intervista al figlio di Riina. «Un ritratto sconcertante, certo – ha commentato – ma per combattere la mafia bisogna conoscerla. E per conoscerla meglio c’è bisogno a nostro avviso anche di interviste come questa».

 

Raffaele Sollecito opinionista su TgCom24: ed subito polemica

Ha fatto subito discutere la novità in casa TgCom24: Raffaele Sollecito opinionista per un nuovo programma, “Il Giallo della Settimana”. Il 32enne di Bisceglie, condannato in primo grado per l’omicidio di Meredith Kercher e poi definitivamente assolto, sceglie di tornare sotto i riflettori. Dopo il processo mediatico subito in parallelo con quello giudiziario, adesso Sollecito commenta i delitti che fanno discutere l’Italia intera davanti a una telecamera. La scelta ha subito destato polemiche e indignazione da parte dei tanti che non lo ritengono del tutto innocente o che, comunque, avrebbero preferito l’oblio mediatico per il giovane.


All’interno del programma “Il Giallo della Settimana”, ogni sabato sera su TgCom24, Raffaele Sollecito ha debuttato parlando dell’omicidio di Sarah Scazzi. La prima puntata, andata in onda sabato scorso e condotta da Remo Croci, ha suscitato scalpore. Sollecito si è infatti dichiarato contrario al cosiddetto “gossip giudiziario”. «Troppo spesso gli investigatori e i media si concentrano su particolari morbosi che però non hanno nulla a che fare con le indagini o con la ricerca della verità: analizzano le personalità, le psicologie, ricercano gli aspetti più sensazionalistici, in una corsa al massacro dell’accusato» ha detto, riferendosi a Ivano Russo, l’amico di Sabrina Misseri che ha visto la propria vita privata in pasto ai media. Difende anche Massimo Bossetti, la cui vita privata e familiare è stata scandagliata quando ancora non c’è certezza della sua colpevolezza nell’omicidio di Yara Gambirasio. Un discorso intelligente e costruttivo, se non fosse che lui stesso abbia scelto volontariamente di rimettersi sotto i riflettori.


Lo scorso febbraio Raffaele Sollecito aveva già attirato discussioni e opinioni contrastanti lanciando una start up: un’applicazione per ricordare i defunti che permette – tra le altre cose – di ordinare fiori e pulizie delle lapidi online. Un’impresa giudicata macabra e di cattivo gusto. Ma Sollecito non si ferma, e intende affrontare la sua nuova vita con slancio: «Avessi ammazzato qualcuno, forse ci sarebbe qualcosa da eccepire – si difende – ma io sono innocente. La mia testimonianza può essere di aiuto a molti. Mi batto perché nessuno riviva quello che è successo a me. Posso portare nei dibattiti giudiziari un punto di vista originale: quello dell’imputato». Anche Paolo Liguori, direttore di TgCom24, difende apertamente la propria scelta di inserire Sollecito come opinionista de “Il Giallo della Settimana”. «Sollecito è stato definitivamente assolto anche dalla Cassazione, è stato in carcere, ha affrontato tutti i gradi del processo: conosce la macchina della Giustizia meglio di tutti noi e ci racconterà anche il suo calvario» ha dichiarato. Per concludere con una bella stoccata, criticando (senza fare nomi ma con una descrizione accurata) la criminologa Roberta Bruzzone:  «A volte in tv vedo delle belle ragazze che si spacciano per criminologhe. Ma dove si prende il diploma di criminologa?»

Hostess Air France: trovato l’accordo sul velo nella tratta Parigi-Teheran

La notizia si era diffusa qualche giorno fa: le hostess Air France si sono ribellate alla richiesta della compagnia di indossare il velo una volta atterrate in Iran. La discussione è sorta in seguito all’imminente riapertura della tratta Parigi – Teheran della compagnia aerea Air France, una delle conseguenze dell’accordo sul nucleare e della soppressione delle sanzioni internazionali all’Iran. L’accordo tra lo Stato mediorientale e le Nazioni occidentali apre importanti possibilità economiche che la Francia sembra voler sfruttare: verranno ripristinati tre voli settimanali verso l’aeroporto di Teheran-Imam Khomeini. Dopo l’annuncio della riapertura della tratta (interrotta nel 2008), la compagnia ha diramato al personale una nota con le direttive. Alle hostess Air France e alle donne pilota è stato chiesto di indossare pantaloni larghi e una giacca lunga che copra i fianchi e, soprattutto, di coprire il capo con il foulard della compagnia una volta atterrate. A quel punto un gran numero di dipendenti ha opposto un fermo rifiuto, rivolgendosi ai sindacati.


Dalla rivoluzione islamica del 1979, in Iran le donne devono portare il velo per legge in tutti i luoghi pubblici. “Come per tutti i visitatori stranieri – si legge in un comunicato della compagnia – anche gli equipaggi dei nostri aerei sono tenuti a rispettare le regole in vigore nei Paesi dove si ritrovano”. Le hostess Air France hanno allora mobilitato i sindacati nella speranza di giungere ad un accordo. “Non vogliamo mettere in causa le leggi e i costumi dell’Iran – ha sottolineato Christophe Pillet, segretario generale del sindacato di categoria -. Chiediamo solo di instaurare il principio di volontariato, per salvaguardare le libertà individuali”. Una richiesta limitata all’uniforme di lavoro delle hostess Air France e non al loro abbigliamento personale per le strade di Teheran. Le due parti sembrano aver finalmente raggiunto un punto di incontro: ogni dipendente di Air France sceglierà volontariamente se rendersi disponibile per la tratta Parigi – Teheran, accettandone le norme di abbigliamento. In caso contrario, non riceverà alcuna ripercussione né sulla carriera né sullo stipendio, elemento che i sindacati hanno richiesto a gran voce.


La polemica sul velo delle hostess di Air France si inserisce in una più ampia serie di discussioni sull’abbigliamento delle donne musulmane che ha infiammato Parigi nelle ultime settimane. Diversi marchi di moda, come Marks&Spencer, Dolce&Gabbana, Uniqlo e presto anche H&M, hanno lanciato delle capsule collection dedicate alla moda araba, comprendenti il velo per coprire il capo. Prevedibilmente, la decisione ha scatenato parecchia confusione e indignazione nei confronti dell’imposizione del velo alle donne, da molti giudicata una barbara rappresentazione della sottomissione femminile.

Renzi negli Stati Uniti: firmato un accordo per 150 milioni con Ibm

«La bellezza salverà il mondo – afferma Matteo Renzi prendendo in prestito una frase celebre di Dostoevskij – Bellezza che si incarna nella cultura dell’Art Institute, nella scienza del Fermi Lab visitato in mattinata, e nella musica». Così il premier descrive la giornata di ieri a Chicago, dove si trovava per l’incontro Italia-Usa sul manifatturiero. Le aziende italiane ripartono dagli Stati Uniti, che non hanno smesso di essere la terra promessa di imprenditori e sognatori.


All’incontro presso la Booth School dell’Università di Chicago si è presentato Sergio Marchionne, che ha confermato la propria piena fiducia al Presidente del Consiglio. «Se me lo chiedete, in Italia voterei per Renzi» ha detto ai giornalisti, apprezzandone soprattutto la capacità di portare stabilità in un Paese che ha visto susseguirsi più di 60 governi in 70 anni. Il manager ha spiegato che la stabilità è il primo fattore che favorisce le imprese e gli investimenti. E proprio Marchionne con la sua Fiat Chrysler sta dando il via a numerosi investimenti nel nostro Paese, da Melfi a Mirafiore dove, racconta,  «si ripartirà con una nuova serie di auto destinate all’export in tutto il mondo». Le aziende italiane attirano investimenti grazie al know-how artigianale, alla spinta creativa e alla voglia di immaginare un futuro diverso. Questi, raccontano Renzi e Marchionne al pubblico imprenditori e manager americani, sono i punti focali che ci permettono di essere competitivi a livello internazionale. Questi gli elementi che hanno permesso all’Export Italia-Usa di crescere ulteriormente lo scorso anno, arrivando ai 36 miliardi di euro.


Come aveva annunciato ieri, oggi Matteo Renzi è volato a Boston per quello che ha definito l’incontro più importante di questo viaggio negli States. Il Presidente del Consiglio ha incontrato i vertici di Ibm, con cui ha stretto un accordo da 150 milioni per il riutilizzo di un’area di Expo 2015 a Rho, poco fuori Milano. La zona sarà utilizzata per il progetto Watson, che si occupa degli aspetti informatici della sanità: dalla gestione delle cartelle cliniche alla quella della spesa per la sanità pubblica, fino all’ottimizzazione degli esperimenti genetici e della ricerca per sconfiggere il cancro. «Lavoriamo da quasi un secolo con l’Italia, per noi è un mercato importante e siamo felici di poter investire nel futuro dell’Europa usando come piattaforma il vostro Paese» ha detto il Ceo di Ibm Ginni Rometty. «Se smettiamo di fare polemiche – ha concluso Renzi –  l’Italia è un paese che cresce, che crea occupazione valore e cultura».

Verità per Giulio Regeni: si attende il 5 aprile

Verità per Giulio Regeni: la richiesta arriva a gran voce da tutte le forze politiche italiane all’indomani della conferenza stampa in cui Paola Regeni e il marito Claudio hanno commosso il Paese. Parole forti, pronunciate con la voce ferma e gli occhi asciutti. Non versa una lacrima Paola Regeni, il dolore è così forte da annientare tutto il resto. Dolore per quel figlio che nell’ultima foto appariva sereno, sorridente, circondato dagli amici il giorno del suo compleanno. Questa è l’ultima immagine felice di Giulio Regeni che per i genitori si sovrappone ad un’altra immagine, quella del suo corpo torturato, del suo viso irriconoscibile.  “L’Egitto ci ha restituito un volto completamente diverso – ha raccontato la madre alla conferenza stampa, immersa in un silenzio surreale – Al posto di quel viso solare e aperto c’è un viso piccolo piccolo piccolo, non vi dico cosa gli hanno fatto. Su quel viso ho visto tutto il male del mondo e mi sono chiesta perché tutto il male del mondo si è riversato su di lui. Lo ho riconosciuto soltanto dalla punta del naso“.


Il caso Regeni ha distrutto una famiglia e scosso molte coscienze e si inserisce in un quadro complesso che incrina i rapporti internazionali con l’Egitto. “Era dai tempi del nazifascismo che un italiano non moriva dopo esser stato sottoposto alle torture – dice ancora Paola Regeni ai giornalisti – Ma Giulio non era in guerra, non era in montagna come i partigiani, che hanno tutto il mio rispetto. Era lì per fare ricerca. Eppure lo hanno torturato“. Uno scenario incomprensibile su cui è necessario fare chiarezza, costi quel che costi. E il prezzo sembra essere davvero alto, letteralmente. La partita diplomatica sul caso Regeni vale cinque miliardi di investimenti che l’Italia, secondo partner europeo del Cairo, sembra pronta a bloccare. La famiglia Regeni però chiede la rescissione di tutti gli accordi, anche quelli già in atto, finché non si conoscerà la verità per Giulio. “A questo punto non possiamo permettere più errori: l’Egitto deve chiedere scusa – ha dichiarato Francesco Boccia, presidente della Commissione Bilancio alla Camera – Non c’è accordo commerciale che tenga davanti a una situazione del genere“.


A rischio non c’è solo la memoria di un giovane ricercatore barbaramente ucciso, ma la dignità di tutto il Paese. L’Italia attende il 5 aprile: il giorno in cui è previsto l’arrivo degli investigatori egiziani a Roma. Dovrebbero portare con sé tabulati telefonici, video e verbali utili a ricostruire la vicenda, perché l’ultima versione – in cui una banda criminale avrebbe rapito Giulio Regeni senza chiederne il riscatto e avrebbe conservato i suoi documenti – non regge e non convince nessuno. “Semmai questo non dovesse verificarsi, l’auspicio è che il governo italiano si faccia sentire interrompendo ogni relazione col Cairo, a partire dall’immediato ritiro del nostro ambasciatore. La vita di qualsiasi cittadino italiano vale più di ogni altro interesse economico” chiedono i deputati M5S della Commissione Affari Esteri. Si chiede, tra l’altro, che venga ritirato l’ambasciatore italiano in Egitto “ma non sappiamo – commenta la Farnesina – quanto possa rivelarsi una mossa efficace: in questo momento, proprio per controllare che le indagini vengano fatte come si deve, è necessario la nostra presenza al Cairo“. Chiedono verità per Giulio Regeni anche da Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione Comunista, che parla di un comportamento da ignavi e dell’importanza di difendere la dignità del Paese e dei suoi cittadini; Nicola Latorre, presidente della commissione Difesa al Senato; la senatrice del Pd Laura Fasiolo e Mara Carfagna, portavoce del gruppo Forza Italia alla Camera. Con loro, l’Italia intera aspetta il 5 aprile col fiato sospeso.

Omicidio stradale: è legge (finalmente!)

L’Italia la chiedeva a gran voce da anni e da ieri sera è diventata realtà: la legge sull’omicidio stradale è stata pubblicata ieri sera sulla Gazzetta Ufficiale ed entra in vigore da oggi. Nonostante alcuni punti critici, la legge n.41 del 23 marzo 2016 (data di firma del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella) colma un vuoto legislativo che per troppo tempo ha permesso a crimini gravi di rimanere impuniti. Da oggi chi uccide una persona guidando in stato di ebbrezza grave o sotto l’effetto di stupefacenti rischia da 8 a 12 anni di carcere, ed è solo uno dei tanti casi presi in considerazione dalla nuova legge. La pena infatti è più breve per lesioni (suddivise in lievi, gravi e gravissime) e aumenta se c’è più di una vittima o se il conducente fugge dopo aver provocato l’incidente. Prevista anche la revoca immediata della patente, che nei casi più gravi può essere restituita anche dopo 30 anni.


La principale critica mossa alla nuova legge sull’omicidio stradale è quella di equiparare, in qualche modo, chi si mette alla guida dopo aver assunto alcool o droghe e chi, da sobrio, effettua manovre pericolose come guida contromano, sorpassi e inversioni a rischio. In Senato, dove la legge è stata approvata lo scorso 2 marzo, Carlo Giovanardi ha parlato di norme “folli che favoriscono drogati, ubriachi, pirati della strada“, mentre i grillini si sono astenuti dal voto denunciando forti criticità. Si è detto soddisfatto invece il premier Matteo Renzi, che poco dopo il voto ha twittato “Per Lorenzo, per Gabriele, per le vittime della strada. Per le loro famiglie. L’omicidio stradale e’ legge #finalmente“. Proprio per quelle vittime e per le loro famiglie, il cui dolore è rimasto troppo a lungo inascoltato, il presidente dell’Associazione Amici della Polizia Stradale Giordano Berni, dopo aver pubblicato la notizia ieri sera su facebook, ha risposto a dubbi e interrogativi e ha invitato alla prudenza. “Tra le difficoltà – spiega Biserni – c’è l’applicazione delle nuove norme mentre si è in attesa della circolare esplicativa del Ministero dell’Interno, proprio in corrispondenza dell’esodo per il week end di Pasqua“. 9,7 milioni di italiani trascorreranno infatti la Pasqua 2016 lontani da casa, diretti al mare, in campagna, in montagna o nelle città d’arte. Massima cautela e controlli più rigidi quindi per gli spostamenti in auto di questo week end, ora che l’omicidio stradale è legge.

Attacco terroristico a Bruxelles – 3 italiani tra i feriti

Urla, pianto, disperazione. Queste le parole che si ripetono nei racconti di tre italiani sopravvissuti all’attacco terroristico a Bruxelles, che intervistati dall’Ansa hanno rivissuto l’orrore di quei momenti di ieri mattina. Michele Venetico ha 21 anni, è nato in Belgio da genitori siciliani e lavora da tre anni all’aeroporto di Bruxelles. Racconta di quegli attimi di follia e assicura “Non credo che esista un problema controlli. L’aeroporto era sorvegliato e pieno di polizia. Questi atti sono imprevedibili. Arrivano e colpiscono e fermarli è davvero difficile“. Durante la sua fuga dall’inferno dell’aeroporto, Michele racconta di essersi unito a colleghi e passeggeri e di aver visto i corpi a terra, senza vita o gravemente feriti, mentre veniva portato in ospedale. “Eravamo terrorizzati – aggiunge – Abbiamo cominciato a urlare, piangere e ci siamo rifugiati nell’ufficio che si trova dietro alla biglietteria che è rimasto in piedi. I soccorsi sono stati tempestivi“.


Chiara Burla e Marco Semenzato si trovavano invece in metropolitana quando è iniziato il secondo attacco a Bruxelles, quello alla fermata Maalbek. Chiara è una ballerina di Varallo, in provincia di Vercelli. Vive a Firenze, ha 24 anni ed era a Bruxelles per un workshop di danza. Stava andando a lezione in metropolitana quando un’esplosione ha costretto il treno a fermarsi e tutti i passeggeri sono stati scaraventati a terra. “Le porte del vagone sono saltate via ed una mi è finita addosso – racconta Chiara – C’era il panico. Tutti urlavano, cercavano di fuggire. Ero frastornata, ferita. Non ho capito subito cosa stava succedendo“. Con una grande lucidità, è uscita dal treno, ha attraversato i binari ed è fuggita con un gruppo di persone. Se l’è cavata con qualche contusione al busto e piccole ferite provocate dalle schegge della porta. Si sente fortunata e non vede l’ora di tornare a casa e dimenticare l’inferno di Bruxelles.


Anche Marco Semenzato, padovano di 34 anni, è rimasto ferito nell’attentato alla metropolitana di Bruxelles. “Ero appena sceso dalla metro – dice Semenzato all’Ansa – e avevo fatto appena due gradini della scale per uscire. All’improvviso ho sentito un boato. Ho visto un bagliore. Ho capito subito che era un attentato, ma non volevo crederci. Ho pensato che stavo per morire“. L’uomo, consulente al dipartimento educazione e cultura della commissione europea, ha subito ustioni alle mani e al volto e giura che non prenderà mai più la metro, in nessuna città del mondo. “Ti senti intrappolato come un topo. Non è una bella sensazione” ha dichiarato.


Intanto arriva la notizia che una donna italiana potrebbe essere tra le vittime dell’attacco di Bruxelles. Si attende il riconoscimento della donna, che si trovava anche lei in metropolitana.

Attentati a Bruxelles: come ha reagito l’Italia

22 marzo 2016: una data che l’Europa non dimenticherà. Dopo Parigi, gli attentati a Bruxelles hanno ferito di nuovo il cuore del vecchio continente, spargendo il terrore. Anche in Italia il rischio di attentati è concreto, e il nostro Paese ha dovuto adottare misure straordinarie per garantire la sicurezza in questa settimana di festa.


Il primo obiettivo sensibile è l’aeroporto di Fiumicino, dove oggi il flusso di passeggeri è molto intenso in vista delle festività pasquali. Il numero di uomini impiegati nella vigilanza è raddoppiato e l’operazione interforze, coordinata dalla Polizia, prevede pattuglie in divisa e in borghese in tutte le zone dell’aeroporto. Non solo gli imbarchi quindi, ma anche l’ingresso di passeggeri e accompagnatori è posto sotto stretta sorveglianza, così come qualsiasi bagaglio o pacco lasciato incustodito, per scongiurare la possibilità di attacchi terroristici.


Intanto stamattina a Palazzo Chigi si è tenuto un vertice straordinario tra il premier Matteo Renzi, il ministo dell’Interno Angelino Alfano e quello degli Esteri Paolo Gentiloni, con i capigruppo di maggioranza e minoranza della Camera e del Senato. Il Presidente del Consiglio ha parlato di “una minaccia globale con killer anche locali e attentatori che vengono da dentro e si nascondono nelle periferie delle nostre città” per cui invita all’unità per gestire questo momento di crisi su più fronti. Non solo lotta dura al terrorismo e aumento dei controlli, ma anche un piano di integrazione per scongiurare la deriva kamikaze degli immigrati già presenti in Italia. Anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha voluto commentare l’attentato a Bruxelles, auspicando che l’Italia e l’Europa reagiscano con l’unità, senza divisioni di bandiera e di partito.


Desiderio difficile da realizzare quello di Renzi e Matterella, perché all’indomani dell’attentato a Bruxelles i leader delle forze politiche si sono già espressi duramente e su posizioni chiare. Giorgia Meloni, neocandidata al Comune di Roma, commenta così: “Renzi, Alfano e Mattarella ci dicono che il terrorismo si combatte con la cultura ma è una frase buona per i cioccolatini“, sperando in un intervento più diretto. In un’intervista alla radio, Silvio Berlusconi si è detto preoccupato. “Tra i leader europei – ha dichiarato – non ce ne sono, oggi, all’altezza della situazione. L’Isis richiede interventi diretti in Iraq e Medio Oriente“. Matteo Salvini, ancora bloccato nella capitale belga, ha subito parlato di una dichiarazione di guerra all’Isis, da realizzarsi con la “bonifica” delle nostre città palazzo per palazzo, e di chiusura delle frontiere. Soluzioni che sembrano fin troppo semplicistiche rispetto a una situazione complessa e delicata, già nell’aria da mesi, che si è concretizzata definitivamente con il nuovo attentato a Bruxelles.

Incidente in Spagna: 7 studentesse italiane tra le vittime

Erasmus once, Erasmus forever è il motto dei ragazzi che ogni anno, carichi di sogni e aspettative, attraversano l’Europa per studiare in un Paese diverso dal proprio. Le studentesse le cui vite sono state spezzate nell’incidente in Spagna di ieri non erano diverse dalle altre: 13 ragazze che studiavano materie diverse, che provenivano da posti diversi e avevano diversi obiettivi per il proprio futuro. Tutte, però, erano accomunate dal desiderio di esplorare posti lontani, conoscere nuovi amici e nuovi amori, allargare i propri orizzonti lavorativi e umani. Così, oltre allo studio e agli stage, si dedicavano con gioia alla scoperta di tradizioni e feste spagnole. All’alba di ieri stavano tornando a Barcellona dopo una gita a Valencia per la Notte dei Fuochi della Fiesta de las Fallas. Erano circa 300 su 5 autobus, e molti di loro avevano cambiato mezzo rispetto all’andata per viaggiare accanto agli amici. Stavano dormendo, stremate dalla nottata di festa, quando il pullman si è schiantato contro un’auto sull’autostrada Valencia-Barcellona.


Nonostante sul web la condanna sia stata già emanata (“Alle volte l’autista si sente un pilota invincibile e fa manovre un po’ azzardate…Poi l’euforia di un pullman pieno di ragazze fa uscire il galletto pronto a mettersi in mostra” si legge in uno dei tanti commenti su facebook) le cause dell’incidente non sono ancora chiare. Quel che è certo è che i cuori di 13 ragazze, tra cui  7 studentesse italiane, hanno smesso di battere in quell’orribile incidente in Spagna ma molti altri sogni sono stati spezzati ieri mattina. Tutti i ragazzi che viaggiavano su quel bus Erasmus hanno vissuto attimi di terrore, 34 di loro sono feriti, di cui 12 in maniera grave o molto grave. Si sono infrante le speranze delle loro famiglie, che non vedranno quelle 13 ragazze correre gioiose verso il futuro, studiare, crescere, diventare grandi, affrontare paure e sbagli, successi e traguardi. Si è infranto, in effetti, il cuore di tutti coloro che ne possiedono uno. Valentina, studentessa di Economia di 22 anni, è stata la prima vittima riconosciuta e quando si è diffusa la notizia, ogni studentessa italiana ha pensato che avrebbe potuto esserci lei al suo posto. E quando il padre di Serena ha annunciato tra i singhiozzi “E’ morta… mia figlia è morta…“, ogni padre ha sentito il cuore farsi un po’ più piccolo e riempirsi di un dolore sordo e inspiegabile. E allora oggi, invece di giocare a chi ha la colpa, è il caso solo di sperare che la terra sia lieve a queste ragazze curiose del mondo ed entusiaste della vita, ed essere vicini alle loro famiglie distrutte dal dolore.

17 marzo, San Patrizio e la Festa dell’Unità d’Italia

«Il Senato e la Camera dei Deputati hanno approvato; noi abbiamo sanzionato e promulghiamo quanto segue: Articolo unico: Il Re Vittorio Emanuele II assume per sé e suoi Successori il titolo di Re d’Italia. Ordiniamo che la presente, munita del Sigillo dello Stato, sia inserita nella raccolta degli atti del Governo, mandando a chiunque spetti di osservarla e di farla osservare come legge dello Stato. Da Torino addì 17 marzo 1861»


Così, 155 anni fa, nasceva l’Italia Unita, alla fine delle Guerre d’Indipendenza, dopo la spedizione dei Mille e le annessioni di alcune regioni, che si sarebbero poi concluse dieci anni dopo. Il 17 marzo è quindi la festa di compleanno della nostra Nazione, istituita ufficialmente nel 2012 come Giornata dell’Unità Nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera dopo i sontuosi festeggiamenti per il 150° anniversario nel 2011. Eppure, da allora, questa giornata è passata in sordina. Oggi solo il Comune di Udine ha previsto un piano di festeggiare degnamente l’evento. Nel resto del Paese, forse qualche insegnante di storia particolarmente zelante ha dedicato una lezione a questo anniversario, ma niente di più. «Dalla storia comune abbiamo tratto e possiamo ancora trarre grandi risorse – ha detto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in un messaggio diramato stamattina per l’occasione – Più unito è il Paese, migliore sarà la crescita in termini di durata e di sostenibilità. Quando si aprono fratture, invece, diventiamo tutti più deboli ».


La Giornata dell’Unità non ha ricevuto la giusta attenzione, ma un’altra festa – tutt’altro che patriottica – ha riempito le strade e i social. Il 17 marzo è infatti il giorno dedicato a San Patrizio, patrono dell’Irlanda. La Festa di San Patrizio è stata istituita negli Stati Uniti nel 1762, organizzata da soldati irlandesi arruolati nell’esercito britannico e da allora viene festeggiata con fiumi di Guinness, berretti verdi, mascotte dei Lepricani, in Irlanda e in tutte le principali città del mondo. Ecco allora che anche Roma e Milano si sono ricoperte di cappelli, costumi e striscioni verdi (e nessun tricolore), mentre sui social impazza l’hashatg #StPatricksDay. Come sempre è su twitter che i temi più “caldi” diventano oggetto di scherno e battute: l’ironia si è scatenata sulla festa nazionale snobbata e sulla trasformazione di San Patrizio nel patrono dei boccali di birra.

ExoMars: partita la missione su Marte

Siamo soli nell’Universo? La domanda che ha ispirato ricerche, missioni, ma anche capolavori della letteratura e del cinema, potrebbe finalmente avere una risposta. O almeno, sembra che l’Europa voglia fare un piccolo passo avanti nella risoluzione del grande enigma. Stamattina alle 10.31 esatte la sonda ExoMars è partita dalla base spaziale russa di Baikonour per effettuare la sua missione su Marte. Il Programma ExoMars è stato sviluppato dall’ESA, l’Agenzia Spaziale Europea, in cooperazione con l’agenzia spaziale russa e ha l’obiettivo di riconoscere forme di vita elementari sul Pianeta Rosso. Una grande sfida per l’Europa, e soprattutto per l’Italia che a questa missione ha dato tanto. L’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) è infatti il principale contributore con 350 milioni di euro, ma non solo: sono italiane molte delle tecnologie che guideranno la sonda nel suo lungo viaggio, grazie alle aziende Finmeccanica e Thales Alenia Space. Il team che ha progettato le strumentazioni è di base a Torino, e la realizzazione è avvenuta in gran parte tra Roma, Napoli e L’Aquila. Anche l’Università di Padova, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare e l’Istituto Nazionale di Astrofisica hanno avuto un ruolo fondamentale nella realizzazione del progetto. Non a caso il modulo che entrerà nell’atmosfera marziana è stato battezzato Schiaparelli, dall’astronomo italiano Giovanni Virginio Schiaparelli che già nella seconda metà dell’Ottocento aveva puntato il telescopio sul Pianeta Rosso.

La colossale missione su Marte rischiava di fallire per qualsiasi piccolo inconveniente: se ci fosse stato un ritardo per qualunque motivo, avremmo dovuto aspettare altri due anni perché la distanza tra Marte e la Terra fosse tale da permettere il lancio. Ma tutto è andato bene e stamattina, sotto gli occhi sognanti di studenti, turisti e appassionati  riuniti davanti a un maxi-schermo a Piazza del Popolo a Roma, ExoMars è partita puntuale. Il suo arrivo su Marte è previsto il 16 ottobre 2016, quando Schiaparelli entrerà nell’atmosfera del pianeta per raccoglierne il metano. Sarà così possibile analizzarne la provenienza: se fosse di origine organica, cioè generato da batteri sotto la superficie, avremmo la risposta alla grande domanda. Sapremmo se c’è vita su Marte, se ci sono esseri viventi in questo Universo oltre a quelli con cui condividiamo il nostro pianeta. Una possibilità che ha sempre affascinato gli uomini di tutti i tempi, che sugli abitanti di Marte hanno scritto libri e realizzato film raccontandoli, di volta in volta, come rassicuranti esserini innocui o come feroci predatori pronti a conquistare la Terra. Giusto per citarne alcuni, La Guerra dei Mondi di H. G. Wells (1897), Le Cronache Marziane di Bradbury nel 1950, il film Disney Rocketman (1997) e l’ultima opera di Ridley Scott Sopravvissuto – The Martian. Non ci resta che aspettare pazientemente notizie della vita su Marte, e prepararci a incontrare i nostri compagni di galassia.