Collana choker mania: i gioielli in pelle e tulle di Jilavie

Dalle passerelle dell’alta moda ai colossi del fast fashion come Zara, fino alle versioni do-it-yourself: la moda autunno inverno 2016-17 è caratterizzata dalla choker mania. Feticcio degli anni ’90, la collana choker è una striscia di tessuto, spesso decorata con pietre luccicanti e dettagli originali. Questo accessorio, nato nel ‘500, torna sulle passerelle di stagione, da Dolce e Gabbana a MSGM passando per Antonio Marras e si impreziosisce di ricami dal gusto vittoriano, charms e inserti di velluto da principessa contemporanea. La collana choker, però, è anche terreno di sperimentazione per artigiani e artisti. Jilavie è il brand siciliano fondato da Jilenia Carrubba, designer eclettica che ha fatto del choker un’opera d’arte da indossare.


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Jilenia, con un passato da musicista e pittrice alle spalle, ha un gusto raffinato e un amore smodato per la pelle, materiale principe delle sue creazioni. Il fulcro creativo di Jilavie si trova a Catania, dove nel suo laboratorio Tana dei Sogni Jilenia realizza pezzi unici interamente artigianali. La pelle viene sapientemente mescolata a pizzo francese, vaporoso tulle e dettagli in ottone per collane – scultura dal fascino fortemente evocativo. I materiali sono scelti con cura dalle migliori concerie italiane e ogni accessorio è intagliato e realizzato a mano, frutto di un’artigianalità in cui l’Italia è maestra. La collezione autunno inverno 2016-17 propone collane choker ispirate alla dea egizia Matt. Protettrice dell’ordine e dell’equilibrio, Matt era raffigurata con una piuma di struzzo sulla testa che ha suggerito alla designer di unire piume e lunghe frange di tulle ai cordoncini in pelle. Altra fonte di ispirazione per i gioielli Jilavie è la trottola, che con il suo incessante ruotare è simbolo di dell’instabile equilibrio di emozioni tipico della mente femminile, come rivela la stessa Jilenia Carrubba parlando della collezione autunno inverno. A proposito di equilibrio, quello tra il maschile e il femminile è analizzato da Jilavie nella serie di collane choker con papillon o con frange di pelle che imitano un cravattino. Accessori forti, protagonisti del look, per una donna sensuale ed eccentrica


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Herno, Eurojersey e Radici Group presentano la giacca da uomo sostenibile

Il sistema moda è uno dei più floridi nel nostro Paese e come altri settori produttivi si trova ad affrontare la sfida della sostenibilità ambientale. Dall’uso di energia sostenibile nella fase di produzione alla scelta di tessuti e materiali dall’impronta ecologica, tutta la filiera deve tenere conto di problematiche complesse. Oggi tre grandi aziende italiane, che da sempre hanno fatto della sostenibilità ambientale uno dei propri capisaldi, si lanciano nella sfida di realizzare una giacca da uomo sostenibile per la moda primavera estate 2017. Si tratta di Herno, Eurojersey e Radici Group, riunitesi per presentare un modello green. Il marchio Herno propone nella sua collezione di abbigliamento uomo per la prossima primavera, una giacca realizzata con i tessuti sostenibili Eurojersey e i filati Radici Group.


La giacca da uomo si chiama Made in Green, è un modello a due bottoni inserito nella collezione moda primavera estate 2017 e ogni fase della sua produzione è stata attentamente monitorata tramite la metodologia “PEF – Product Environmental Footprint”. Gli studi hanno preso in considerazione la riduzione dello strato di ozono, il consumo di energia sostenibile, l’emissione di polveri sottili, per certificare l’impronta ecologica del capo. La produzione della giacca da uomo è stata confrontata con quella di un prodotto simile realizzato in Cina. I risultati dimostrano che il capo prodotto in Cina ha un impatto ambientale superiore del 43%, il 92% in più in termini di emissioni di CO2 e un costo per l’ambiente di 5,22 euro contro 1,97 euro della giacca realizzata  in Italia. «Stiamo creando sinergie per un sistema produttivo ed economico più virtuoso – hanno dichiarato le tre aziende in occasione della presentazione della giacca – che prevede una forte capacità di innovazione, l’utilizzo di fonti di energia rinnovabile e che realizza prodotti disegnati in maniera efficiente, che durino nel tempo e che nella loro interezza o nelle loro singole parti possano essere riciclabili o riutilizzabili in altre forme».

Photo Vogue Festival, a Milano l’evento sulla fotografia di moda e non solo

La fotografia (e in particolare la fotografia di moda) elevata ad arte: questo è stato uno dei capisaldi di Vogue Italia nei suoi primi 50 anni di vita, e continua ad esserlo. Il direttore Franca Sozzani ha sempre sottolineato l’importanza dell’immagine nel raccontare storie e cambiamenti del mondo femminile e non solo. Mode, tendenze, ma anche fenomeni culturali e sociali passano attraverso le pagine di Vogue Italia, veicolati dall’occhio attento e poetico di artisti dell’obiettivo. Oggi, grazie a Franca Sozzani e ad Alessia Glaviano, senior photo editor di Vogue Italia, nasce il Photo Vogue Festival, un evento la cui protagonista assoluta è la fotografia. Suggestioni visive ed estetiche colte dallo sguardo del fotografo, professionista o emergente, che raccontano storie, ispirano, commuovono, indignano, mettono a fuoco aspetti della vita sociale del nostro tempo.


La prima edizione di Photo Vogue Festival si terrà a Milano dal 22 al 26 novembre, sarà aperta a tutti e costituita da tre mostre. Vanessa Beecroft Polaroids 1993.2016 è una monografica dedicata all’artista italiana e sarà visitabile all’interno del Palazzo Reale di Milano. The Female Gaze è invece una mostra collettiva, o meglio un viaggio che esplora immagini rivoluzionare, che hanno cambiato e stanno cambiando il modo di rappresentare la femminilità, la moda, il corpo e la sessualità femminile. Infine nella mostra PhotoVogue/inFashion i protagonisti saranno 30 fotografi emergenti, scelti tra i 120.000 partecipanti alla selezione. Un evento che avvicina tutti al mondo del bello, dell’immagine e della moda e che ha entusiasmato i suoi creatori. «Ci siamo resi conto che non esisteva un Festival del genere che fosse veramente autorevole, così abbiamo voluto crearlo – racconta Alessia Glaviano tra le pagine di VogueDevo dire che sono stati tutti entusiasti e ho avuto molto supporto, in primis da Franca Sozzani, il mio mentore. Lei è una visionaria, ha sempre privilegiato la fotografia e l’immagine come modo di raccontare il costume e la società, non solo la moda».

Jean Paul Gaultier for OVS: la capsule collection arriva negli store

Jean Paul Gaultier per Oviesse: arriva una delle capsule collection più attese dell’anno. In store selezionati da domani sarà possibile acquistare i capi disegnati dal couturier per il colosso del lowcost italiano, e già da oggi sul sito di Oviesse. La collezione è composta da circa 60 pezzi Jean Paul Gaultier per donna e per uomo, che uniscono l’estro dell’enfant terrible della moda francese con i prezzi accessibili del brand di fast fashion. Dai 29€ del reggiseno in similpelle ai 149€ del trench dal design high-low che ha già fatto impazzire le fashion addicted, indossato da Bianca Balti sul red carpet del Festival del Cinema di Venezia, sarà possibile acquistare abiti Jean Paul Gaultier a prezzi contenuti. Quello che unisce stilisti d’alta moda a colossi del lowcost è un trend che va avanti già da diversi anni e a che Oviesse ha già sperimentato con capsule collection firmate da Elio Fiorucci, Costume National, Kristina Ti, giusto per citarne alcuni.


Per la capsule collection 2016-17 Oviesse si è rivolta a Jean Paul Gaultier, che ha portato nella collezione tutti i tratti distintivi della sua moda eclettica e non convenzionale. Presente il motivo a righe orizzontali che è diventato un po’ la sua firma: maglie a girocollo e t-shirt à la marinière si mescolano ai temi delle carte e degli scacchi, in una rivisitazione di Alice nel Paese delle Meraviglie che strizza un po’ l’occhio alla moda anni ’80. «Una collezione divertente, perfetta per i party di fine anno – così la definisce lo stesso Jean Paul Gaultier Ho pensato a qualcosa di giocoso ma allo stesso tempo ricercato ed è per questo che ho disegnato una stampa con carte da gioco e ho usato tanti tagli asimmetrici». L’acquisto dei capi firmati dallo stilista per Oviesse è regolamentato: ogni acquirente potrà prendere un solo pezzo per ognuno dei capi in vendita, in modo da garantire a più persone possibili questa speciale shopping experience.


Palazzo Versace a Dubai, inaugurato ieri il resort di lusso

È stato inaugurato ieri Palazzo Versace a Dubai, un resort di lusso in cui tutto, dalle camere agli arredi, richiama lo stile inconfondibile della maison italiana. Una grande festa ha accompagnato l’opening del resort che si inserisce nel Cultural Village, nuovo cuore pulsante del Dubai lifestyle. Presenti le top preferite da Donatella Versace: Helena Christensen, Natasha Poly, Alessandra Ambrosio sono state le regine della serata, avvolte in splendidi abiti da sera della collezione Atelier Versace autunno inverno 2016-17. Per la prima volta in occasione dell’apertura dell’hotel a Dubai, la collezione haute couture del brand della Medusa è arrivata negli Emirati Arabi. Le clienti potranno ammirarla in una serie di appuntamenti privati nei prossimi giorni, con l’aiuto e l’assistenza dei couturiers della maison. Parte del ricavato di queste vendite sarà poi devoluto alla charity Dubai Cares, un’organizzazione filantropica creata da sua Altezza Sheikh Mohammed Bin Rashid Al Maktoum per il sostentamento dei bambini dei paesi meno abbienti alle scuole primarie.


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Il Palazzo Versace a Dubai è il secondo dalla maison italiana dopo quello aperto nel 2000 in Australia. Realizzate ispirandosi all’architettura neoclassica di un palazzo italiano del XVI secolo, le 215 camere riflettono il lusso e lo stile Versace tra stucchi e statue, tessuti broccati e materiali preziosi. La più lussuosa? È l’Imperial Suite: 1200 metri quadri di sfarzo con tanto di piscina, terrazza privata e vista mozzafiato sul panorama di Dubai. È stata la stessa Donatella Versace a scegliere arredi e complementi del resort. «Sono entusiasta di partecipare all’inaugurazione di Palazzo Versace Dubai – ha detto la stilista – Ho visitato l’hotel prima dell’apertura e sono rimasta stupita dalla sua bellezza: è davvero una luxury destination, come nessun’altra al mondo. Sono contenta di aver portato a Dubai per la prima volta la nostra collezione di alta moda e di aver realizzato una vera e propria Versace Experience».


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Photo Courtesy Adnkronos.com

Sting al Bataclan, un anno dopo gli attentati di Parigi

13 novembre 2015, Parigi veniva sconvolta da una notte di terrore che non dimenticheremo. Un anno dopo l’attentato al Bataclan, allo Stade de France e in alcuni bistrot tra il IX e il X arrondissement che è costato la vita a oltre 130 innocenti, la città prova a rinascere. E sceglie di farlo riaprendo il locale in cui tutto ebbe inizio. Il Bataclan è stato riaperto lo scorso 12 novembre con un concerto di Sting. Proprio là, dove oltre 90 giovani riuniti per ascoltare la musica degli Eagles of Death Metal hanno perso la vita, altri giovani, altri cittadini di Parigi, insieme ai sopravvissuti e ai parenti delle vittime della strage del Bataclan sono tornati a cantare e ballare. «Stasera abbiamo due compiti: onorare i morti e ricominciare a vivere. Non li dimenticheremo» con queste parole è iniziato il concerto di Sting al Bataclan. Un minuto di silenzio carico di commozione e poi la musica, capace più di qualsiasi discorso di esprimere il dolore e la voglia di ricominciare di una città che alza la testa.


Il concerto di Sting al Bataclan ha aperto le commemorazioni per quella notte di terrore del 13 novembre 2015 a Parigi. Il giorno successivo è stato il giorno del cordoglio, del ricordo commosso e doloroso. La commemorazione è iniziata alle 21 allo Stade de France, dove un anno fa tre kamikaze si fecero esplodere durante la partita amichevole Francia – Germania. Davanti al Presidente Hollande e al primo ministro Manuel Valls, ha parlato il figlio di una delle vittime. Poi Hollande si è spostato insieme al sindaco di Parigi Anne Hidalgo verso i bistrot delle stragi di un anno fa e lì ha scoperto delle lapidi, per poi arrivare davanti al Bataclan. Nessun discorso qui, solo l’elenco delle vittime tra cui l’italiana Valeria Solesin. «Forse questo ultimo atto era destinato a ribadire una fondamentale verità: – recita il testo di Fragile di Sting – Che nulla viene e potrà mai venire dalla violenza».

Corte Costituzionale: cognome materno ai figli, una sentenza storica

Dare il cognome materno ai propri figli? Da oggi è possibile anche in Italia, grazie a una storica sentenza della Corte Costituzionale. Ancora una volta, come in altre questioni legate alla famiglia e all’uguaglianza dei diritti , è la Magistratura ad aprire un varco per le richieste concrete della società mentre la politica arranca e si perde in ritardi di anni. La legge che affronterebbe il problema del cognome materno ai figli è sepolta da due anni al Senato, ma la recente sentenza della Corte Costituzionale sul caso di una coppia italo-brasiliana cambia le carte in tavola. I due, residenti a Genova, hanno visto finalmente accolta la richiesta di dare il doppio cognome al bambino in modo che i suoi dati anagrafici siano gli stessi in Brasile e in Italia. La coppia, assistita dal’avvocato Susanna Schivo, ha dovuto lottare contro quella norma implicita – e mai regolamentata da una legge – che prevede per i figli nati all’interno del matrimonio l’attribuzione automatica del cognome del padre.

Per secoli il cognome materno è andato perduto senza lasciare alcuna traccia all’anagrafe. Aggiungerlo a quello del padre era possibile, finora, solo facendo richiesta al Prefetto che aveva poi la facoltà di decidere caso per caso. La sentenza della Corte Costituzionale sul caso di Genova apre così a possibilità completamente nuove e fortemente volute anche dall’Europa, che ha più volte puntualizzato l’urgenza di risolvere la questione anche in Italia. Tuttavia, all’indomani della sentenza, sono pochissime le famiglie che sceglierebbero di dare ai figli il doppio cognome. Questione di tradizione, di un retaggio patriarcale troppo ben radicato, o più meramente di lunghezza della firma. In ogni caso si tratta di una svolta storica seppure non completa. «Finalmente si inizia a applicare il principio fondamentale della parità di uomo e donna davanti alla legge sulla questione dei cognomi – commenta in un’intervista Rosa Oliva, una donna che ha lottato strenuamente contro le discriminazioni di genere – Come sono state cancellate d’ufficio le leggi razziali, avrebbero dovuto essere eliminate anche le discriminazioni nei confronti delle donne. Invece nessuno ci ha mai pensato e sono rimasti ancora pienamente operativi alcuni retaggi della cultura patriarcale che dava ai padri ogni potere nei confronti dei figli».

Morto Leonard Cohen, il poeta di “Halleluja” e “Suzanne”

«E anche se è andato tutto storto, mi ergerò davanti al Dio della canzone e dalle mia labbra altro non uscirà che Alleluja». Così recita il testo originale di Halleluja, una delle canzoni più conosciute di Leonard Cohen che dalla sua pubblicazione nel 1984 ad oggi ha subito innumerevoli cover e variazioni (anche ad opera dello stesso cantautore). Non si possono immaginare parole migliori per reagire alla notizia della morte di Leonard Cohen, annunciata stanotte dalla sua casa discografica sulla pagina facebook ufficiale. «È con un profondo dolore che annunciamo che il leggendario poeta, cantautore ed artista Leonard Cohen è venuto a mancare. Abbiamo perso uno dei più venerati e prolifici visionari della musica», questo il messaggio della Sony Music Canada. Davanti la sua casa a Montreal i fan si sono riuniti per accendere candele, intonare quell’Halleluja e dire addio al musicista.


Nato in Canada da una famiglia ebraica nel 1934, Leonard Cohen ha iniziato a scrivere poesie tra i banchi dell’università, pubblicando la sua prima raccolta di componimenti nel 1956. Della sua vena poetica disse «Vorrei dire tutto ciò che c’è da dire in una sola parola. Odio quanto possa succedere tra l’inizio e la fine di una frase». Nel 1967 alle parole ha iniziato a mescolare i suoni nel suo album d’esordio Songs of Leonard Cohen, intriso di malinconia e ispirato alle sonorità della musica popolare europea. Ha sempre trattato temi forti, dalla religione alla depressione (di cui soffriva), dalla sessualità all’aborto, con la delicatezza di un poeta e la ruvidità della sua voce baritonale. «Ho un’immaginazione molto scarsa – disse in un’intervista –  motivo per cui ho sempre pensato a me stesso come a una specie di giornalista intento a riportare ciò che osservo nel modo più accurato possibile». Tra i suoi numerosi successi, Suzanne, Dance me to the end of love e il suo testamento musicale pubblicato in autunno, l’album You want it darker.

“The Radical Eye”, inaugurata oggi la mostra di foto di Elton John alla Tate Modern

Si inaugura oggi alla Tate Modern gallery di Londra The Radical Eye: Modernist photography from the Sir Elton John Collection“, che permetterà al pubblico di “entrare” nella casa del cantante inglese e osservare la sua immensa collezione di fotografie artistiche. Si potranno ammirare più di 150 stampe rare della collezione privata d Elton John, appassionato di fotografia dagli anni ’90. Le foto appartengono a 70 artisti e sono state scattate tra gli anni ’20 e gli anni ’50, il periodo d’oro del modernismo. Periodo in cui, tra l’altro, la fotografia cominciò ad essere considerata una vera e propria forma d’arte. La collezione di Sir Elton John è considerata una delle più vaste al mondo fin dal 1991, quando il musicista uscì da un periodo di rehab e si immerse in questa nuova passione. «Comprare fotografie è una dipendenza molto più sana, così ho iniziato a farlo» ha dichiarato.


"Noire et Blanche positive" e "Noire et Blanche negative", Man Ray
“Noire et Blanche positive” e “Noire et Blanche negative”, Man Ray



La mostra alla Tate Modern di Londra sarà visitabile da oggi al 7 maggio 2017 e permetterà di entrare in contatto con stampe solitamente appese nell’appartamento di Elton John ad Atlanta. «È un grande onore per me e mio marito David prestare parte della nostra collezione alla Tate Modern per una mostra che si preannuncia tra le più importanti – ha dichiarato il cantante a proposito dell’imminente inaugurazione – L’era moderna in fotografia è stato uno dei momenti chiave del mio lavoro di collezionista e mi ha regalato tanta gioia nel corso degli ultimi 25 anni. Ognuna di queste foto è stata un’ispirazione per la mia vita, queste immagini ornano le pareti delle mie case e le considero come gemme preziose». Tra gli scatti che saranno mostrati al pubblico c’è Lacrime di Vetro di Man Ray, uno dei fotografi più influenti del periodo dadaista e surrealista. La foto divenne famosa proprio per l’acquisto da parte di Elton John, che per averla pagò la cifra record di £125.000. Il cantante è particolarmente legato alle opere di Ray, molte delle quali saranno esposte alla Tate Modern insieme a quelle di Dorothea Lange, Irving Penn, Berenice Abbott e altre grandi firme della fotografia.


"Glass Tears", Man Ray
“Glass Tears”, Man Ray



"Migrant mother", Dorothea Lange
“Migrant mother”, Dorothea Lange



Ph. Ansa.it

La Perla lingerie, la campagna femminista con Kendall Jenner

Può il femminismo passare attraverso le foto di un brand di sexy lingerie? Julia Haart pensa di sì. Il nuovo direttore creativo di La Perla ha fortemente voluto una campagna che esprimesse «la liberazione di ogni donna dalla necessità di sacrificarsi per la bellezza». Protagonista degli scatti è Kendall Jenner, membro del clan Kardashian, star di instagram e modella tra le più gettonate, accanto alle colleghe Isabeli Fontana e Liu Wen. Dietro l’obiettivo invece c’è il famoso fotografo di moda Steven Klein. Le immagini diffuse dalla campagna primavera estate 2017 mostrano quanto la scelta della Haart sia stata effettivamente vincente.


Le collezioni La Perla lingerie, beachwear e ready-to-wear sono presentate attraverso immagini forti: vetri in frantumi, pareti in fiamme, un corsetto d’ispirazione vittoriana sono i dettagli che Klein ha scelto per la campagna d’impronta femminista di La Perla. Le tre modelle, di cui solo Kendall Jenner è ai suoi esordi come testimonial del brand, indossano babydoll in pizzo, vestaglie di seta e lunghe sottovesti e sono ritratte in pose plastiche, le loro curve scolpite dai giochi di luci e ombre di cui Steven Klein è maestro. Julia Haart ha posto particolare attenzione al messaggio femminista che sta alla base della campagna, ma ha voluto anche che ogni dettaglio di babydoll, corsetti e capi di lingerie fosse messo in risalto per mostrare il nuovo percorso creativo del brand che dirige da pochi mesi. La collezione primavera estate 2017 di La Perla, con cui la designer ha esordito dopo anni di collaborazione nel reparto accessori, sottolinea la necessità che comfort e sensualità vadano di pari passo nell’intimo femminile. Tessuti preziosi e dettagli di stile si sposano con linee morbide o stretch che accarezzano ed esaltano le curve. Chi ha detto che chi bella vuol apparire un po’ deve soffrire? La rivoluzione femminista parte (anche) da qui.


Morto l’oncologo Umberto Veronesi, aveva 91 anni

Si è spento ieri sera nella sua casa di Milano Umberto Veronesi, circondato dalla moglie e dai figli. L’oncologo e uomo politico avrebbe compiuto 91 anni il prossimo 28 novembre e da alcune settimane le sue condizioni di salute si erano aggravate. Per decenni ha lavorato alla ricerca per la prevenzione e la cura dei tumori, con particolare attenzione per il carcinoma mammario che è la prima causa di morte per tumore nelle donne. Da chirurgo quale era, ha saputo estirpare la medicina dal controllo della religione, portando avanti campagne con il suo lavoro di oncologo e con le battaglie per l’eutanasia, per la cultura scientifica, per la visione laica ed empirista della malattia. Umberto Veronesi non ha soltanto dato un grandissimo input all’oncologia in Italia, formando i suoi studenti all’Istituto Nazionale dei Tumori, ma ha introdotto per primo il concetto di medicina integrata, è stato il primo a suggerire che la malattia, soprattutto nel caso di un male così complesso come il cancro, va affrontata in equipe.


La notizia della morte di Umberto Veronesi ha scosso la comunità scientifica, il mondo della politica (Veronesi è stato Ministro della Sanità per un breve periodo dal 2000 al 2001) e tutte le persone che ha curato o alle quali ha contribuito a donare una nuova speranza. «Anche grazie a lui non parliamo più di male incurabile. Umberto Veronesi ha saputo dare a tanti uomini e donne nuove speranze di vita» ha scritto su twitter la presidente della Camera Laura Boldrini. «Tutti i malati oncologici, e Airc in particolare, devono molto alla sua lungimiranza di medico e scienziato – così lo ricorda il presidente dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, Pier Giuseppe Torrani – e alla sua instancabile tenacia nel perseguire l’obiettivo di terapie più umane, efficaci e accessibili a tutti». Una perdita dolorosa per tutti coloro che, grazie alle cure e dalle ricerche di Umberto Veronesi, possono parlare della propria malattia senza associarla alla parola incurabile.