Il film noir di Valentino
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Nero assoluto, tranchant, assiomatico e perverso come in una favola dark ambientata nelle metropoli nordiche, che sarebbe piaciuta alla Liliana Cavani di ‘Il portiere di notte’ o a Newton e ad Araki per le loro foto peccaminosamente bondage e sadochic. Il mondo enigmatico e sublime di Valentino si materializza sulle note di un quintetto d’archi live, nelle silhouette inquietanti e sofisticate modulate da Pierpaolo Piccioli che ha finalmente riscoperto il glamour del marchio declinandolo in modo squisitamente contemporaneo.
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La Parigi ambigua e rutilante del ‘Sept’ e delle ‘nuits fauves’ allo Hotel de Ville approda in passerella per dare forma e stoffa ai sogni erotici della maison, proposti in chiave no gender per un ‘dialogo senza barriere’. Le ‘belles dames sans merci’ del grande couturier che si definì negli anni’60 la ‘Rolls Royce dell’alta moda italiana’, prendono forma rinnovandosi attraverso abiti apparentemente austeri, in realtà molto voluttuosi e di vibrante sensualità: cristalli e canottiglie accendono di desiderio le robes lineari accompagnate da boot neo punk issati su solide basi, mentre i cappotti più assertivi sono ingentiliti da micro ricami ton sur ton, quasi impercettibili. Sugli abiti trionfano le grafiche stilizzate delle foto di Inez Van Lamsweerde e Vinoodh Matadin che hanno rivoluzionato la fotografia di moda negli anni’90 alimentando il loro immaginario con spunti cari alla moda come l’identità, la manipolazione corporea e la bellezza artificiale.
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La ‘sposa in nero’ di Truffaut si materializza in passerella negli abiti forgiati a sirena: a interpretarla stavolta ci sono le nuove ninfe miliardarie del fashion system, le più belle, le più venerate del web, Lara Stone, Irina Shayk e Natasha Poly affiancate dalla nuova top model curvy Jill Kortleve, già vista da Fendi. Come nel film ‘Miriam si sveglia a mezzanotte’ la nuova vamp di Valentino non offre fianco a critiche, sensuale e provocante anche se quasi ieratica nel lungo fourreau ‘rosso Valentino’ iridescente e dallo spacco abissale, indossato dalla bellissima Adut Akech.
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Lo stilista ha raccontato la sua sfilata coed, la prima di ready to wear sviluppata secondo questa formula, servendosi del linguaggio dell’inclusione, assurto a ‘koiné dialektos’ della moda, che il creativo ha trasposto anche in un’eloquente ibridazione fra i codici del guardaroba maschile e femminile, per un self restraint che profuma di couture e di sartorialità digitale. Come nei cappotti dalle linee giacomettiane che inneggiano a una pudibonda carnalità sintetizzata dai generosi scolli sagomati che diventano ancora più sensuali nei corpetti in pelle da virago chic.
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E la femminilità ‘insouciante’ del maestro di Voghera si palesa in quelle deliziose borse da atelier, doviziosamente decorate da fiocchi, frivole rouches, borchie e fiori leggiadri in omaggio a un nuovo esprit sofisticato e concettuale che piacerà alle figlie delle più assidue aficionados dell’ultimo imperatore della moda italiana. Interessanti i virtuosismi botanici 3d che sbocciano sulle mise in pelle rosa carne che connota le bluse impalpabili declinate come mini cappe remboursé, mentre la sera la maliarda dark solca la pedana candida con vaporosi ed eterei abiti di tulle e chiffon punteggiati di luminescenze floreali, mentre incedono in passerella magnetiche mises inondate di paillettes nere completate da lunghi guanti in tinta che evocano la seducente e pericolosa ‘Carmilla’ di Le Fanu e certi capolavori dell’estetica dell’Espressionismo tedesco.
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I bijoux importanti amplificano il messaggio di stilizzata fluidità che definisce questa suggestiva collezione. Piccioli coglie ancora una volta nel segno, come ha fatto nella straordinaria collezione di Haute Couture presentata a Gennaio, un altro en plein che non delude, convincendo sempre di più sul talento dello stilista romano di riuscire a proiettare nell’hic et nunc il mondo dorato e inaccessibile di una maison leggendaria e tuttora in stato di grazia, secondo un’ottica di disarmante e interessante modernità.
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