“Le Ninfee di Monet” è il film di Giovanni Troilo che ha incantato le sale cinematografiche italiane, registrando in soli tre giorni più di 40.000 spettatori e circa 370.000 euro di incassi.
Girare un film su Monet è sicuramente una grande sfida per un italiano. Da dove nasce la scelta del soggetto?
L’idea di questo film viene da lontano, quando 3 anni fa ho lavorato per Sky Arte ad una serie sui capolavori perduti. Uno di questi era proprio un quadro di Monet distrutto durante l’incendio al Moma nel ’58. http://arte.sky.it/2018/04/serie-ninfee-monet-incendio-moma-new-york/
Questo mi ha fornito un punto di accesso inconsueto e un angolo privilegiato per immergermi nel suo mondo. Quello di un visionario la cui eredità viene colta pienamente solo 30 anni dopo la sua morte, quando l’uomo passato alla storia come il padre dell’Impressionismo viene riconosciuto come uno dei più importanti precursori dei movimenti astratti espressionisti americani.
E’ subito emersa anche l’epica contenuta nella genesi della sua ultima grandissima opera: un uomo ormai più che settantenne, all’apice della sua carriera, in un attimo perde tutto. Perde la sua amata Alice, il suo primogenito Jean, il giardino che aveva costruito con tanta fatica. E persino la sua vista, il suo leggendario occhio comincia a tradirlo. Il giorno delle elezioni, l’ex Primo Ministro George Clemenceau, abbandona la scena politica perché ha una missione più importante da compiere: riportare il suo grande amico alla pittura. Da quell’incontro nasce l’idea dell’ultima grande sfida di Monet, il progetto che porterà avanti nel suo stagno fino alla fine dei suoi giorni, sfidando la vecchiaia, la malattia e la guerra: La Grande Decoration. Ecco, da questa grande storia nasce l’idea del film.
Quali sono stati i tempi di produzione? Quali sono state invece le difficoltà?
L’ultima tranche di riprese è durata circa tre settimane, ma come dicevo la scrittura e parte delle riprese, quelle ricostruite in teatro di posa, sono state effettuate già tre anni fa con “Il Mistero dei Capolavori Perduti“. La sfida più grande era definire un linguaggio, il linguaggio di qualcosa che è per metà un film e per l’altra metà un documentario. Ma che sopratutto dovesse essere fruito prima di tutto al cinema e quindi con un grande impianto narrativo e visivo.
Ci sono degli aspetti che ci teneva particolarmente a sottolineare?
Credo che chi si accinge a guardare questo film debba essere pronto a calarsi nello spazio e nel tempo propri del viaggio, fatto di attese, scoperte e sorprese. Un viaggio immersivo, quasi fisico nei luoghi e nell’elemento prediletto di Monet: l’acqua. Con Elisa, il nostro narratore, partiamo dalla foce della Senna in Normandia e risaliamo il fiume che rappresenta la spina dorsale di Claude Monet, il percorso della sua intera esistenza. Quel viaggio fisico lentamente si trasforma in un viaggio della mente nella vita e nell’opera di Monet, attivando delle scene di totale immersione nel colore.
Quanto è stata importante la scelta del cast?
Portare punti di vista potenti e originali era un elemento decisivo per riuscire a raccontare pienamente una storia così sfaccettata. Elisa Lasowski ha subito dimostrato una straordinaria capacità immersiva riuscendo a cucire uno spazio profondamente intimo in cui il pubblico e la complessa personalità di Monet potessero incontrasi. Con Elisa ci eravamo scambiati moltissime suggestioni visive, sonore, ci eravamo persi in lunghe chiacchierate al telefono, ma ci siamo visti per la prima volta all’alba del primo giorno di set. Etretat si è presentata ai nostri occhi completamente avvolta da una nebbia surreale che sembrava aver paralizzato ogni cosa. Poi, in un attimo, si è dissolta mostrando la straordinarietà di quel set naturale dal quale ha preso avvio il nostro lungo viaggio risalendo la Senna fino a Parigi, passando per Argenteuil, Vetheuil, Giverny. A Giverny scopriamo un’altra preziosa voce, quella di Claire Helene Marron, giardiniera e custode del giardino di Monet. La prima volta che ci sono entrato, ricordo di aver sentito tradite le aspettative. Probabilmente ci saranno stati troppi visitatori in quella che negli anni è diventata la Mecca dell’Impressionismo, ma la magia mi sembrava spezzata. Claire ci ha garantito invece l’accesso inedito all’intimità così fortemente cercata da Monet e così profondamente parte di quel luogo. Abbiamo potuto seguire il lavoro che Claire e i suoi quindici colleghi fanno a porte chiuse all’alba per tenere viva la mastodontica architettura vegetale concepita da Monet come set per i propri dipinti. In quelle ore tutto è cambiato e l’intimità con quel luogo è diventata totale. Se Elisa e Claire ci guidano nel viaggio fisico, a Sanne De Wilde, fotografa e artista, il compito di immergerci nella visione artistica di Monet, per raccontarci la sua ossessione per l’acqua, la scomposizione in pixel (pennellate) dell’immagine. Ma anche per aiutarci a evocare grazie all’uso dell’infrarosso alcune delle profonde aberrazioni cromatiche dovute al deterioramento della vista di Monet e che l’artista decise di rendere parte del suo processo creativo, della sua visione. A Ross King, infine, al suo incredibile lavoro di ricerca e alla sua unica capacità di racconto dobbiamo moltissimo: il suo romanzo “Il mistero delle ninfee“. Monet e la rivoluzione della pittura moderna ha letteralmente spalancato le porte sul mondo dell’artista e soprattutto su quello dell’uomo Monet. Se questi sono i compagni visibili, ce n’è un altro non meno importante, onnipresente ma invisibile che rende unico questo viaggio, Remo Anzovino. In un quasi inspiegabile processo in reverse, le musiche scritte da Remo prima che il film fosse girato, basate su un film immaginato, raccontato, tornano a sposarsi perfettamente con le immagini fino a diventare un unicum praticamente indissolubile.
Che personalità aveva il grande maestro impressionista? Come traspare nel film?
Riuscire a raccontare questo gigante, confrontarsi con la sua arte, con la sua complessa personalità era probabilmente la sfida più grande. La soluzione più corretta ci è parsa quella di riportare il racconto all’uomo per stabilire con chiarezza la grandezza della sua impresa. E il racconto dell’uomo passa attraverso la storia di una grandissima amicizia tra due personaggi dal carattere piuttosto complicato, Claude Monet e George Clemenceau, Primo Ministro e Ministro della Guerra, una delle personalità più controverse della storia di Francia. La “tigre” e il “porcospino”, così erano soprannominati, trovarono in Giverny il riparo sicuro in cui coltivare l’amicizia che seppe resistere a qualsiasi avversità.
Tratteggiato l’uomo, andava definito il carattere eccezionale della sua impresa. Le sfide titaniche che sembrano il motore principale della sua esistenza, costituiscono lo scheletro narrativo stesso del film suddiviso in tre atti. La sfida iniziale fu di fondersi con gli elementi che dipingeva nel tentativo di catturare l’in-catturabile, concentrandosi sull’acqua e la luce, gli elementi più inafferrabili e mutevoli. Quando ritenne che almeno in parte questa sfida fosse risolta, ne intraprese una più grande, quella di costruire un set vegetale, di portare la natura addomesticandola nel suo giardino, deviando un fiume se necessario, cosa che fece ovviamente. E quando dopo il successo tutto sembrava nuovamente perduto si decise di imbarcarsi nella sua sfida più grande, la sua opera definitiva, la Grand Decoration: un’opera titanica concepita e realizzata maniacalmente grazie alla devota ostinazione di un uomo oramai quasi ottantenne. La riduzione cinematografica di una biografia così importante implica delle scelte, speriamo di aver fatto quelle giuste.
Cosa spera di comunicare nelle sale cinematografiche italiane tramite il suo film?
Spero che a comunicare sia il potere della storia stessa. Quella di un grande uomo impegnato tutta la vita nella costruzione di un’idea di felicità, non della felicità stessa, ma della sua idea che potesse ispirare l’umanità. E della tenacia, della fedeltà estrema a quella idea nell’arte e nella vita, chhe diventa un vero e proprio atto di resistenza quando il presente non sembra riconoscerne pienamente il valore o risulta addirittura avverso.
Lei, Giovanni Troilo, è prima ancora un fotografo. Come e quando nasce la sua passione per la fotografia?
Nasce da ragazzo, nello studio di un fotografo del mio paese in cui trascorrevo tutti i pomeriggi dopo il liceo. La fotografia è diventata una compagna di crescita e uno strumento di conoscenza del mondo. Molte cose sono ovviamente cambiate, ma l’atto del fotografare, del riprendere, rimane il modo privilegiato che ho di esplorare e appassionarmi.
Quali sono i registi che ammira particolarmente?
Carlos Reygadas, Bruno Dumont, Michael Haneke, Ulrich Seidl sono registi che ammiro moltissimo. Ma nessuno di loro è connesso in alcun modo a questo film. Nella ricerca di formule di linguaggio per questo lavoro ho cercato orientamento nella semplicità e insieme nella grandiosità del racconto di altri grandissimi maestri come Wim Wenders, Werner Herzog, Abbas Kiarostami.
Prossimi progetti in cantiere?
Da qualche anno sto lavorando ad un progetto complesso, che è stato prima un lavoro fotografico e poi un film documentario sul Belgio e che presto diventerà un film, una commedia nera sul cuore dell’Europa Contemporanea.
Il film è fruibile anche in Canada , ben presto in Russia e a seguire in molti altri paesi anche europei.
http://www.nexodigital.it/le-ninfee-di-monet-un-incantesimo-di-acqua-e-di-luce/?fbclid=IwAR0GKBzR7BTxUq0ZIc4eL3wrR-yGYh83dlmnOAuGjUCAA4qRkDx7X2CPBJE
Autore: Eleonora Anna Bove
L’uomo proibito e l’unicità dei rapporti umani
L’uomo proibito è un cortometraggio italiano del regista Tiziano Russo, prodotto da ABOUT DE FILM. Si tratta di un viaggio incredibile che prende avvio da una missione spaziale sino a coinvolgerne una che riguarda tutti, la vita.
E’ pertanto il racconto di un’avventura umana di cui Andrea è il protagonista. Dopo aver contratto un virus in seguito a una missione spaziale, si ritrova ad affrontare tutte le difficoltà che comporta doversi relazionare con la figlia e la moglie, con tutte le sfumature e le sensazioni che necessariamente ne derivano. L’attenzione si concentra pertanto sulla quotidianità, in tutta la sua spontaneità. E’ un cortometraggio colmo di parole taciute, silenzi, riflessioni pensate e accennate, ma anche spazi vuoti.
E’ dunque un’analisi attenta dei rapporti umani, dove ognuno dei personaggi ha una missione superiore: conoscere se stesso attraverso l’altro e superare i propri limiti.
Il cortometraggio si serve di una fotografia delicata, che diviene pertanto la metafora perfetta della fragilità, quella stessa fragilità che caratterizza inevitabilmente la condizione umana e l’esistenza, e di cui spesso ce ne dimentichiamo facendone un problema.
https://it-it.facebook.com/pg/uomoproibitoshort/reviews/?ref=page_internal
Van Gogh fa il giro del mondo e approda per la prima volta a Bari
Da novembre a gennaio “Van Gogh alive – the experience” animerà il teatro barese Margherita, che riapre per l’occasione grazie agli importanti lavori di restauro e riquilificazione dopo ben 35 lunghi anni di chiusura.
La mostra è proprietà del gruppo australiano di “Grande Exhibitions” ed ha già riscosso un grossissimo successo, facendo il giro per tutto il mondo e passando da Emirati Arabi, Pechino, Cracovia e Budapest: soltanto a Roma ha fatto battere il cuore a più di 138mila visitatori.
A differenza delle mostre abituali, lo spettatore si ritrova completamente immerso nei grandi quadri dell’artista olandese (più di 30000 immagini) proiettata su grandi display, colonne, muri e persino i pavimenti della struttura, servendosi della più recente tecnologia.
Il visitatore si ritroverà pertanto a passeggiare tra i celebri girasoli, la notte stellata, i campi di grano, emozionandosi e facendosi coinvolgere dalle enormi immagini e dai sensi, approcciandosi in tal modo a una nuova e originale forma di fruizione artistica.
http://grandeexhibitions.com/
CLAUDE NORI E LA MAGIA DELL’ESTATE ITALIANA: ’’FOTOGRAFARE LA FELICITÀ È DAVVERO DIFFICILE”
‘’Fotografare la felicità è davvero difficile, forse più complicato che fotografare la miseria o le tragedie. È qualcosa d’impalpabile, una bolla di sapone che scivola tra le mani, che si fa fatica ad acchiappare perché dentro ci siamo noi e un gesto maldestro potrebbe farla scoppiare. Quando si è felici non si ha davvero voglia di fotografare, ma semmai di lasciarsi andare all’ebbrezza del momento, di bere, mangiare, baciare, sollevare corpi nel vortice di tutti i sensi.
Non è come in letteratura, dove si può descrivere il profumo della pelle di una donna, il colore dei suoi occhi, anche se si è da soli in una stanza d’albergo. Con la fotografia bisogna astrarsi un attimo per pensare alla luce, all’inquadratura, alla composizione, agli oggetti ingombranti e fastidiosi, per comunicare quella felicità. E talvolta, se non funziona e l’armonia intorno a noi sfuma e scompare, allora, bisogna dirsi che è necessario rispettare questa legge di natura, non combatterla: non serve a niente imbrogliare in fotografia.’’
In questi termini fotografici Claude Nori, l’abile fotografo francese, ha parlato della felicità. E la felicità, intesa come attimi quasi impercettibili, fa da sfondo a molte delle sue immagini dove è possibile intravedere donne a mare, coppie innamorate, passanti: tutti intenti a vivere in pieno la magia dell’estate.
La casa editrice Postcart propone ora il libro “Un’estate con te“, versione rivista e arricchita di Un été italien del fotografo francese.
Le località marittime italiane hanno da sempre molto affascinato Nori, tant’è vero che, facendo da sfondo a innumerevoli film neoralisti, sono divenute un vero e proprio emblema della cultura italiana. Ed è a questa cultura che Claude s’ispira attraverso le sua fotografia e i suoi viaggi a partire dal 1982.
I protagonisti sono per lo più adolescenti intenti a trascorrere in assoluta spensieratezza una giornata soleggiata. Le sue sono immagini dense di emozioni, evocative e sono assolutamente in grado di ricreare negli occhi di chi le osserva la magia che recepisce chi s’impegna a cogliere onestamente l’intensa felicità racchiusa in una tipica e genuina estate italiana.
http://www.claudenori.com/
Gucci P/E 2019: Alessandro Michele e la sua sperimentazione incantano Parigi
La settimana della moda parigina, che si è tenuta dal 24 settembre al 2 ottobre, ha fatto da chiusura all’appuntamento annuale delle sfilate primavera/estate 2019 che si sono susseguite rispettivamente a New York, Londra e Milano. Ad aprire la sfilata due designer italiani: Alessandro Michele per Gucci e Maria Grazia Chiuri per Dior.
La collezione di Alessandro Michele è un mix esplosivo di colori, ispirata a Leo De Bernardinis e Perla Peragallo, entrambi emblema della sperimentazione nel settore del teatro romano. Presso lo storico Théatre Le Palace, la sfilata di Gucci è stata un vero e proprio tuffo nel passato, in particolare negli anni ’70.
Stili maschili sono stati mescolati sapientemente con quelli femminili, per non parlare poi delle fantasie e dei tessuti. Non sono mancate le frange, le balze, le gonne lunghe, i colori sgargianti. Gli accessori sono stati il pezzo forte della sfilata: dall’immancabile mascherina ai cappelli dalla falda larga e alla simpaticissima borsa- Topolino.
Jane Birkin, ospite e performer, ha inoltre emozionato il cuore degli spettatori con la sua meravigliosa voce. Tra gli ospiti: Jared Leto, Miriam Leone, Amanda Lear, Lou Doillon.
Matrimonio “da lunapark” per la coppia Ferragni-Fedez: “Postate pure tutte le foto che vi pare, non vi trattenete”
La coppia Ferragni-Fedez ha coronato senza ombra di dubbio il matrimonio italiano più social di tutti i tempi, tutto in diretta Instagram. Gli stessi sposini si sono raccomandati con gli invitati di non trattenersi, bensì di caricare tutte le foto che desideravano senza badare a possibili divieti.
Ed ecco che ne deriva l’immagine di un matrimonio sapientemente “costruito” e tutt’altro che discreto: sfogliando la gallery, sembra quasi di essere di fronte alle scene di un film americano. In alcune foto, la coppia appare affiancata da una schiera di damigelle in abito rigorosamente rosa, in altre la Ferragni esibisce indifferentemente con tanto di sorriso la fede nuziale, gli abiti o gli ospiti scatenati.
Non potevano ovviamente mancare i fuochi d’artificio, per non parlare del piccolo lunapark allestito all’interno della Dimora delle Balze a Noto, che per l’occasione era blindatissima, dove i due hanno deciso di celebrare il grande evento.
Come da vero copione, quasi per rispettare le tradizioni del matrimonio all’italiana, non potevano mancare gli scatti coi genitori e quelli con le lacrime dovute alla commozione. Il matrimonio della coppia Ferragni-Fedez è divenuto, insomma, un grande hashtag (#TheFerragnez) dove milioni di fans cliccavano compulsivamente pur di avere aggiornamenti in tempo reale sui loro personaggi preferiti.
Non c’era da aspettarsi altrimenti, dal momento che la coppia ha sempre trovato nuove occasioni pur di esibire la propria vita privata, come se la loro storia d’amore fosse un vero e proprio film a puntate dove l’elemento imprescindibile è sempre stato rendere partecipi gli “spettatori”, che in tal caso sono invece follower, dei loro video e delle loro dirette.
Intervista a Paolo Raeli: La fotografia mi ha permesso di fermare il mondo come avrei voluto che fosse.
Paolo Raeli, giovanissimo, originario di Palermo. Le sue fotografie sono attualmente molto apprezzate in Italia e all’estero. Recentemente ha anche pubblicato un libro. Lo abbiamo intervistato per conoscere più da vicino il suo mondo, fatto di emozioni pure e momenti unici e irripetibili.
Chi è Paolo Raeli?
Ho provato a darmi una risposta, e davvero – so che magari sembra pretenzioso dirlo – ma qualsiasi cosa mi viene in mente svilisce quello che vorrei davvero descrivere. Certe cose sono inesplicabili. Cambio continuamente.
Come e quando ha iniziato a fotografare?
Avevo poco meno di diciotto anni: dopo la fine del mio primo amore ho cercato di incanalare tutta l’energia che avevo dentro e che ogni giorno si moltiplicava dentro di me, convergendola in una forma d’arte. La fotografia mi ha permesso di fermare il mondo come avrei voluto che fosse.
Se dovesse associare una canzone o un album alla sua fotografia, quale sceglierebbe?
Always Returning, Brian Eno.
Come si pone verso i soggetti ritratti?
Li amo, tutti. Passati e presenti, nell’imperfezione, nella bellezza, in ciò che li rende unici. Apprezzo chiunque mi permetta di lasciarsi immortalare. Ci vuole una forma di coraggio secondo me.
Qual è l’aspetto a cui presta maggiore attenzione mentre fotografa?
La cura verso gli altri. Ho bisogno che tutti si sentano a loro agio. E ciò non significa che si debba necessariamente guardare in camera, o sorridere, o chissà cosa. Potresti anche piangere, ed essere comunque a tuo agio. Si tratta di qualcosa che si percepisce nell’aria.
Cosa intende raccontare di sé attraverso la fotografia?
Citando un film di Mark Romanek: “Se queste immagini potranno mai avere un significato per le generazioni future, sarà questo: io c’ero, sono esistito. Sono stato giovane, sono stato felice. E qualcuno a questo mondo mi ha voluto abbastanza bene da farmi una fotografia.”
Trova che la fotografia possa veramente essere un’ottima terapia per la paura di dimenticare?
Mi piace pensare che sia così. Abbiamo tutti bisogno di credere in qualcosa, è necessario.
Quali emozioni intende catturare attraverso i giovani che ritrae?
Cerco la spontaneità. E’ anche quella qualcosa che è difficile da spiegare, ma si riesce a percepire. Sento di dare un tocco molto personale alle mie foto: scelgo di vedere la bellezza nel mondo. Molti documentano una realtà cruda, caotica. Io amo sognare. Mi piace pensare che quando sarò vecchio potrò rivedere queste immagini e credere, forse anche ingenuamente, che tutto fosse davvero perfetto.
Come nasce e si sviluppa l’idea di pubblicare un libro che raccolga foto e pensieri?
Da quando ne ho memoria sono solito disegnare, scrivere: coniugare queste forme è terapeutico per me. Donald Winnicott diceva che un artista è qualcuno guidato dalla tensione tra il desiderio di comunicare e il desiderio di nascondere. Non so se mi reputo un artista, ma mi sono rivisto molto in questo pensiero. Da qui è nato il bisogno di
pubblicare un libro, in cui potessi mostrare a quante più persone possibili la mia visione del mondo. Un semplice libro fotografico, fondi bianchi e date, mi è sempre sembrato troppo riduttivo.
Quali sono i prossimi progetti in cantiere?
Regola numero uno: mai parlare dei propri progetti, a meno che non si sia riusciti a realizzarli.
Le fotografie di Paolo Raeli incantano e fanno sognare. Sono molto di più di semplici immagini. Sono il racconto di una generazione spensierata, affannata, innamorata, mutevole, fuori controllo. Quello che traspare maggiormente nei suoi scatti è un vero, sano e profondo senso di libertà, immortalato perfettamente attraverso la delicatezza dei gesti e le espressioni dei soggetti ritratti.
https://www.paoloraeli.com/
Intervista a max&douglas: quello che ricordiamo con più affetto è stato lavorare con Ben Harper
Max&douglas sono noti nel mondo della fotografia per i loro ritratti alle celebreties, dai cantanti agli sportivi. Nonostante la giovane età, le loro immagini sono già state esposte presso la Triennale di Milano. Il loro lavoro si contraddistingue per la voglia di sperimentare e, al tempo stesso, cogliere l’unicità che è contenuta in ogni singola persona.
Il vostro punto forte è senza ombra di dubbio la ritrattistica. Cosa significa per voi ritrarre una persona?
Significa “semplicemente” riuscire a mostrare l’idea che ci siamo fatti del soggetto. Non necessariamente coincide con l’idea che il soggetto ha di se stesso. Le persone ci attraggono, così come le loro caratteristiche: consideriamo le particolarità di ognuno come un punto di forza, come un valore che ne determina l’unicità.
Come riuscite a conciliare il lavoro in due?
Dopo 20 anni di lavoro insieme viene naturale alternarci in fase di scatto e successivamente saper riconoscere, in fase di editing, le immagini migliori. Riteniamo da sempre che il confronto è crescita e la discussione sia alla base di ogni progetto artistico.
Quando e come nasce la vostra collaborazione?
Siamo nati, come coppia artistica, realizzando fotografie in luce pennellata in grande formato (20×25). L’aiuto che potevamo darci vicendevolmente era fondamentale, non solo dal punto di vista tecnico. Con l’avvento del digitale e la relativa semplificazione del processo produttivo, la solidità della nostra collaborazione non ha sentito la necessità di una separazione.
C’è un aneddoto riguardante la vostra attività?
In così tanti anni gli aneddoti sono tantissimi, soprattutto per il fatto di aver lavorato molto con celebrities; diciamo che quello che ricordiamo con più affetto è stato lavorare con Ben Harper che, nonostante sia un mito di fama mondiale si è concesso totalmente alle nostre esigenze, senza paletti di tempo e senza la presenza dei personaggi che normalmente accompagnano le star. Una domenica pomeriggio, insieme, come fossimo vecchi amici.
I vostri inizi vi vedono impegnati con la fotografia di moda. Cosa vi ha indotto a impegnarvi in altri generi fotografici?
Non è del tutto vero. Diciamo che i nostri primi lavori pubblicitari, seppur di marchi di moda come Belfe o Romeo Gigli, sempre sono stati orientati verso una fotografia ritrattistica. Non siamo mai stati fotografi di moda, anche perché non abbiamo quella sensibilità fondamentale per poter lavorare in quel campo. Per non parlare del fatto che nella moda, salvo pochissimi nomi, i fotografi sono “di moda”: passano troppo velocemente. Abbiamo sempre puntato verso la costruzione di qualcosa di più duraturo.
In cosa vi sentite cresciuti artisticamente?
Sicuramente nel saper rispondere alle opportunità ritrattistiche nel minor tempo possibile. La lunga esperienza ultimamente ci sta portando a realizzare sempre meno scatti e in sempre meno tempo. Crediamo che questo possa essere un valore: esattamente come potrebbe essere un valore medico quello di un dottore che riesce a fare una diagnosi con una semplice occhiata.
Ci sono dei generi fotografici che preferireste non affrontare?
Sicuramente l’idea di chiuderci in uno studio per giorni interi nella speranza di riuscire a realizzare un bello still life ci terrorizza.
Potete anticiparci qualcosa dei nuovi progetti?
Al momento stiamo lavorando su molte cose, prima tra tutte la voglia di trasmettere la nostra visione. Non siamo per i “segreti” e non ci crediamo. Non abbiamo mai nascosto i nostri backstage o minacciato assistenti che volessero semplicemente curiosare. I nostri set sono sempre stati aperti.
Quanto conta la post-produzione nella vostra attività?
Molto. A inizio carriera (lavorando con Polaroid 20×25) nulla. O, meglio, praticamente non esisteva ancora. Con il passaggio al digitale la presenza di una post invasiva è stato il nostro marchio di fabbrica e lo è stato per molti anni. Ultimamente è andata via via scemando, concentrandoci molto di più sull’uso delle luci ma rimane sempre presente e fondamentale, seppur molto meno percepibile.
Quali sono i fotografi che più ispirano la vostra fotografia?
Tantissimi. Tutti nomi importanti: Irving Penn, Richard Avedon, Mark Seliger, Anton Corbijn e naturalmente Annie Leibovitz. Siamo però molto affascinati e sicuramente influenzati dal lavoro di Erwin Olaf: un mito.
La fotografia di max&douglas è il frutto di una ricerca senza fronzoli, una fotografia che non si avvale di segreti e che, tuttavia, cura fortemente i dettagli. E’ una fotografia silenziosa che ci invita a guardare, ammirare i soggetti ed emozionarci.
Negramaro e il loro Amore Che Torna a Lecce
Il 13 luglio la nota band italiana ha concluso in maniera emozionante il tour allo stadio di Via del Mare a Lecce, esattamente a casa.
I Negramaro hanno infatti infiammato il cuore di ben 30000 persone: i primi gruppi di fan si sono appostati entusiasti già durante la mattina nell’attesa dell’apertura dei cancelli, avvenuta all’incirca alle ore 17. Alle ore 21 e 30, la serata è iniziata nei migliori dei modi con “Fino all’imbrunire”, primo singolo estratto dall’album “Amore che torni”.
“Ciao Casa! Canta!”: queste sono state le primissime parole che Giuliano Sangiorgi ha rivolto ai suoi fan e alla propria terra. Il brano “Sei tu la mia città” è divenuto, così, un vero e proprio inno d’amore verso il Salento. “Vorrei che questa notte non finisse mai. Sei tu la mia città, Lecce, la nostra città.”
Ed è proprio d’amore di cui parla il loro ultimo album, quello stesso amore che è risultato il protagonista assoluto dell’intera serata. Un amore vero, colmo di vita, ma anche di effetti speciali. Prosegue così il sogno di una band che ha attraversato un momento di crisi e che non si è arresa, che è tornata a sognare più forte di prima e che sicuramente farà sognare tanto altro.
https://www.negramaro.com/
Via alla XIII edizione del Locomotive Jazz Festival
Torna sul palcoscenico pugliese la XIII edizione del Locomotive Jazz Festival , che avrà luogo dal 10 luglio al 3 di agosto a Lecce, Taranto, Ceglie Messapica, Castro, Roca, Sant’Andrea e San Cataldo. Quest’anno, difatti, il Festival ha deciso di essere nei luoghi periferici, luoghi maltrattati, come San Cataldo, o vittime di etichette, come Taranto, città industriale che tuttavia è in possesso di una cultura profonde e da riscoprire.
Raffaele Casarano, direttore artistico da ormai tredici anni, ha dichiarato il vero intento dell’evento: “La sfida di tutti è quella di seguire quel che fa la Musica, liberarsi dalle gabbie, diffondersi senza limiti. Il LJF, rispetto ad altri festival musicali, ha un pensiero forte: la musica come strumento attraverso cui narrare altre storie e fare luce su delle problematiche di carattere ambientale, sociale, culturale. Nel corso degli anni sono venuti a suonare per il Locomotive musicisti di fama internazionale, che hanno sposato la nostra causa, appassionandosene, imparando ad amare il Salento, le sue debolezze e la sua bellezza estrema”.
Anche quest’anno, difatti, il LJF ospiterà artisti di gran calibro come Malika Ayane, Avion Travel, Dolcenera, Bungaro, Fabio Concato, Kurt Elling, Kenny Garrett, Stefano Di Battista e Nicky Nicolai, Nick The Nightfly, Gilles Peterson, Nicola Conte, Till Bronner e Dieter Ilg, Renzo Rubino & Gino Castaldo.
Dal 30 luglio al 3 agosto, inoltre, sarà possibile seguire il Locomotive in diretta su Radio Montecarlo, dalle 15.00 alle 16.00 e dalle 22.00 alle 2.00. Durante la serata del 3 agosto, il Festival sposerà l’iniziativa diTria Corda Onlus: l’intero incasso della serata sarà devoluto alla Onlus, per contribuire alla realizzazione del Polo Pediatrico salentino.
http://www.locomotivejazzfestival.it/
Best of Lecce Fashion Week: il meglio delle sfilate
Si è appena concluso il tanto atteso appuntamento salentino LECCE FASHION WEEK, che è giunto con enorme successo alla sua 19^ ed. e che ha visto sfilare in passerella la moda made in Puglia. L’evento ha avuto luogo nel cuore della città di Campi Salentina nel corso di due serate e incorniciato dalle luminarie targate MarianoLight, che sono già state scelte in passato dagli stilisti D&G e BULGARI per creare la scenografia dei loro eventi esclusivi.
La LECCE FASHION WEEK ha ormai da anni il merito di “scoprire nuovi talenti della moda, proporre collezioni di stilisti giá affermati e accogliere grandi ospiti in grado di far crescere tutti”. Novità assoluta è il TEMPORARY STORE, dove sarà possibile acquistare le creazioni dei protagonisti il 16 e il 17 giugno dalle ore 9:00 alle ore 21:’00 a Lecce, presso TONDA DESIGN.
Alla conduzione dell’evento, ha padroneggiato la serata la talentuosa giornalista di moda Cinzia Malvini. Tra gli altri protagonisti, la vicepresidente del Cna Roberta Alessandri, Daniele Del Genio (presidente di CNA Federmoda Puglia), Edoardo De Giorgio per la Maison Gattinoni, la giornalista ed esperta di moda Mariella Milani. Il Premio LFW19, invece, è stato assegnato a Maria Luisa Capasa, che dopo aver portato l’Oriente in Puglia, s’impegna tuttora a diffondere la moda pugliese nel mondo.
Tra musica, spettacolo, poesia, emozioni genuine e un tocco di spiritualismo, la LECCE FASHION WEEK è la chiara dimostrazione che la moda si nutre dell’anima di chi crea gli abiti, delle dita di chi tocca tessuti e dei corpi che affascinano. Questi alcuni dei capi che hanno stregato gli spettatori: