Fiori d’arancio bis per Beatrice Borromeo

Si è celebrato lo scorso primo agosto il matrimonio religioso di Beatrice Borromeo e Pierre Casiraghi. Le nozze, precedute dal rito civile, hanno avuto luogo nella splendida cornice delle isole Borromee, sul lago Maggiore.

Se i due sposi ci avevano già fatto sognare due settimane fa, il rito religioso si è svolto nel pieno rispetto della tradizione: un sontuoso abito bianco per la Borromeo e un tight per Pierre Casiraghi.

Per la cerimonia in chiesa la sposa ha scelto Armani: un lungo abito in pizzo chantilly della collezione Armani Privé. Linea classica e sofisticata, strati di chiffon di seta, e un lungo velo in pizzo chantilly a corredare il look principesco. Frac grigio chiaro per Pierre Casiraghi, in un look da perfetto principe azzurro.

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Il matrimonio religioso di Beatrice Borromeo e Pierre Casiraghi si è svolto alle isole Borromee, sul Lago Maggiore


Per il ricevimento la Borromeo ha indossato un secondo vestito sempre Armani Privé in tulle di seta. Profonda scollatura sul seno e drappeggi che partono dalle spalle per creare un lungo strascico in tulle di sera plissettata. Pezzo forte: due antiche spille tramandate dalla sua blasonata famiglia, che la sposa portava appuntate nel vestito. Scene fiabesche per l’arrivo dei due sposini a bordo di un piroscafo decorato con fiori d’arancio.

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Tight grigio per Pierre e abito Armani Privé in pizzo chantilly per Beatrice


Tra gli invitati la cantante Lana del Rey col fidanzato Francesco Carrozzini, Mette-Marit di Norvegia e le famiglie Grimaldi e Borromeo al completo. Marta Marzotto ha indossato due degli immancabili caftani che l’hanno resa celebre; Charlotte Casiraghi, un po’ spenta durante il rito religioso, in un abito in pizzo giallo, è esplosa in mood bucolico al ricevimento, con un lungo abito a fiori.

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Un secondo abito Armani Privé per il ricevimento. Profondi drappeggi e strascico principesco.

Tripudio di fiori anche negli outfits indossati al ricevimento dalle tre sorelle della sposa, Isabella, Lavinia e Matilde. Mood boho-chic per Tatiana Santo Domingo e Franca Sozzani, in uno splendido Valentino. Quadretti vichy alternati ad un sontuoso abito Giambattista Valli per Bianca Brandolini d’Adda.

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Caftano d’ordinanza per Marta Marzotto, nonna della sposa


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Tantissimi gli outfit floreali per il ricevimento


Semplicemente perfetta la celebre stylist Giovanna Battaglia, con un delizioso hatinator. Total look Chanel per la madre dello sposo, Carolina.

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Charlotte Casiraghi opta per un lungo abito a fiori per il ricevimento


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Paillettes Chanel per Carolina, al ricevimento nuziale


Altre invitate illustri, Diane von Furstenberg e la socialite Poppy Delevingne, la stilista americana Carolina Herrera e le top model Elisa Sednaoui, Eva Herzigova ed Ana Beatriz Barros.

Giorgio di Sant’Angelo, genio della moda

Ci sono talenti unici, che nascono una sola volta ogni secolo. È certamente il caso di Giorgio di Sant’Angelo, genio della moda a trecentosessanta gradi, che ha fortemente influenzato gli anni Sessanta e Settanta.

Designer poliedrico e progressista, stylist ante litteram, visionario e ribelle, Giorgio aveva una sua personalissima visione della moda, che ancora oggi si pone come un unicum assoluto.

Sangue blu nelle sue vene, il conte Giorgio di Sant’Angelo (nome completo Jorge Alberto Imperatrice di Sant’Angelo e Ratti di Desio) nasce il 5 maggio 1933 a Firenze ma trascorre la sua infanzia nella tenuta del nonno, tra Argentina e Brasile, prima di fare ritorno in Italia all’età di 17 anni.

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Suggestioni tratte dagli amerindi


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Jean Shrimpton in Giorgio di Sant’Angelo


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Ancora la Shrimpton versione gipsy


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Klimt dress, collezione A/I 1969


Dopo aver conseguito la laurea in Architettura presso l’università di Firenze, studia Design industriale a Barcelona e Storia dell’arte alla Sorbona. Artista poliedrico e dall’instancabile creatività, vince una borsa di studio che gli permette di conoscere Picasso, con cui lavora per sei mesi.

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L’influenza dei Nativi Americani


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Ispirazioni tratte dagli indiani Navajo, Eskimo e dalle culture dell’America del Sud


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Le Ande e il fascino della lana mohair, delle frange e dell’uncinetto


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Anni Settanta, ispirazione indios


Successivamente il giovane si cimenta anche con l’animazione, sottoponendo un cartoon alla Walt Disney che, fortemente colpita dall’estro del ragazzo, gli offre uno stage. Giorgio parte quindi alla volta di Los Angeles, ma il suo inglese non eccellente lo riporta bruscamente alla realtà e lo costringe ad abbandonare l’esperienza dopo appena 15 giorni. Dopo qualche tempo si trasferisce a New York: a questo periodo risalgono le prime esperienze lavorative, come artista tessile ed interior designer.

Inizia a creare, per puro hobby, gioielli in plastica e lucite, dalle forme geometriche, che impressionano fortemente la fashion editor Catherine Murray di Montezemolo e Diana Vreeland, che lo vuole subito su Vogue. La sagace mente della Vreeland, già scopritrice di molti talenti, fiuta immediatamente il genio che ha davanti e lo assume come stylist freelance. È da questa collaborazione che nacquero perle rimaste ancora insuperate nel panorama della moda mondiale.

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Il celebre shoot “The Magnificent Mirage”, Veruschka in Giorgio di Sant’Angelo, foto di Franco Rubartelli, Deserto Dipinto (Arizona), Vogue, luglio 1968


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Un altro scatto dallo stesso fashion shoot, voluto ed ideato dalla fashion editor Diana Vreeland


Nel 1966 Giorgio inizia a lavorare come designer, creando la sua prima linea di prêt-à-porter. Per la sua collezione attinge alle tradizioni culturali di diversi popoli, come quella dei nativi americani, per dar vita a capi dall’impatto fortemente scenografico. Suggestioni tratte dalle Ande, come si evince dalle stampe patchwork e dalla caratteristica lavorazione all’uncinetto. E ancora elementi rubati agli amerindi, come la lana mohair, le piume, le frange e i pellami tipici dei costumi dei nativi americani, stampe tratte dalla cultura azteca ed incas, il jersey, il mix di pattern e fiori ripresi dai costumi dei Navajo e degli Eskimo, l’opulenza di trecce e broccati di ispirazione gipsy, capolavoro indiscusso di styling.

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Un outfit creato a mano dallo stilista


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Giorgio di Sant’Angelo fu uno dei primi stylist al mondo


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Suggestioni andine


Il suo contributo più grande nonché la sua rivoluzione fu bandire le cerniere lampo e progettare per la prima volta materiali stretch, che non costringessero il corpo femminile ma che vi si adattassero perfettamente. Designer pluripremiato, fu insignito del prestigioso Coty Award per ben due volte, la prima nel 1968 e la seconda nel 1970. Nel 1967 eliminò la “di” dal suo cognome e rinunciò al titolo nobiliare. Creò ben presto una linea più economica, denominata Sant’Angelo 4U2, seguita da un’altra più attenta alle tendenze del momento, la Marjer parts.

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Ancora uno scatto tratto da Vogue, luglio 1968


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Veruschka in Giorgio di Sant’Angelo, Deserto Dipinto (Arizona), luglio 1968


Le sue creazioni furono apprezzate da Bianca Jagger, Faye Dunaway, Isabella Rossellini, Cher, Diana Ross e Lena Horne. Posarono per lui modelle del calibro di Veruschka, Marina Schiano ed Elsa Peretti. Lo stilista, ricordando quei primi tempi, disse che all’epoca non avevano un soldo e che le ragazze posavano per lui la notte, dopo aver trascorso tutto il giorno a lavorare.

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Veruschka in Giorgio di Sant’Angelo


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Gli Indiani d’America nelle creazioni di Giorgio di Sant’Angelo


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Veruschka in compagnia del designer


Veruschka in Giorgio di Sant’Angelo


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Lo stilista con Elsa Peretti, foto di Ed Pfizenmaier


Celebre e ancora oggi insuperato esempio di perfezione stilistica, lo shooting del 1968 per Vogue, scattato nel deserto dell’Arizona con Veruschka come modella e con la fotografia di Franco Rubartelli, all’epoca legato sentimentalmente alla modella. Ideato da Diana Vreeland, fashion editor di Vogue, ambientato nella magnifica cornice del Deserto Dipinto, in Arizona, qui il genio di Giorgio vede la consacrazione ufficiale: la fashion editor alla fine concesse ben 8 pagine a quello shooting, in cui esplose la manualità di Giorgio, che dal nulla creò degli splendidi outfits. Lì dove chiunque avrebbe visto solo un mucchio di stoffe, lui vide dei vestiti. “Faceva caldo, terribilmente caldo”, ricorda Veruschka. Ad un certo punto, fasciata dentro un outfit che ricordava una specie di sacco a pelo, la modella perse i sensi.

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Veruschka indossa una creazione di Giorgio di Sant’Angelo


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Marisa Berenson, Styling di Giorgio di Sant’Angelo


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Veruschka indossa una collana di Giorgio di Sant’Angelo, foto di Franco Rubartelli


Lo stilista, genio ribelle ed anticonformista, si spense il 29 agosto 1989 per un cancro ai polmoni, ad appena 56 anni, lasciando però un’eredità immensa, che influenzò designer come John Galliano, Anna Sui e Marc Jacobs. Ammirato da Bill Blass, da Donna Karan per il comfort offerto dai suoi capi, Giorgio amava definirsi “un artista prestato alla moda, un ingegnere del colore e della forma”.

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Jill Haworth con bracciale ed orecchini Giorgio di Sant’Angelo, Vogue, foto di Bert Stern


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Twiggy, decorazioni di Giorgio di Sant’Angelo


Genuinamente convinto che moda e arte fossero strettamente correlate, auspicava la nascita di uno studio in cui architetti e creatori di moda lavorassero fianco a fianco, sulla falsariga delle Bauhaus di Vienna di inizio Novecento. Un talento insuperabile che meriterebbe di essere ricordato più spesso dagli addetti ai lavori.

Essere fashion editor: Grace Coddington

Fashion editor: nell’industria della moda oggi ricoprono un ruolo fondamentale ed insostituibile.

Personaggi chiave del fashion biz nonché del giornalismo di moda, idolatrate e temute, trend setter ed icone di stile: sono le fashion editor. Mediatrici tra le idee dei designer e la carta stampata, tutto gravita intorno a loro, nuove guru dallo stile impeccabile.

Uno dei nomi più famosi è sicuramente quello di Grace Coddington, direttrice creativa di Vogue America.

Pamela Rosalind Grace Coddington nasce ad Anglesey, in Galles, nell’aprile del 1941. I genitori, Janie e William, gestiscono un piccolo hotel nell’isola, il Tre-Arddur Bay Hotel. Il padre muore di cancro quando Grace ha appena undici anni, nel 1952.

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Grace Coddington negli anni Settanta
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La fashion editor in gioventù ha lavorato a lungo come modella
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Nata in Galles, arrivata a Londra ha debuttato come modella per Vogue
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Grace Coddington posa per David Bailey, Vogue UK, 15 settembre 1966
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Come modella, Grace Coddington ha posato per fotografi del calibro di Norman Parkinson e Frank Horvat
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Vogue UK, settembre 1962
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Uno scatto degli anni Settanta
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Scatto del 1973
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Grace Coddington in Jean Muir, Vogue UK settembre 1973
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Viso sbarazzino e lunghi capelli fulvi
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Grace Coddington posa per Willie Christie, Vogue, 1977

 

La giovane avverte sempre più il bisogno di evadere da quella realtà angusta e provinciale e, compiuti i diciotto anni, cerca fortuna a Londra. Sono gli anni della rivoluzione culturale più sconvolgente, che inizia proprio nella Swinging London. Qui Grace lavora come cameriera e frequenta un corso serale di portamento alla Cherry Marshall Modeling School.

Grace Coddington ha lavorato a lungo come modella prima di diventare una giornalista. Appassionata collezionista di Vogue, fin dall’adolescenza non perde un numero della celebre rivista. Ed è proprio grazie ad un concorso bandito dalla “Bibbia della moda” che la giovanissima Grace inizia la sua carriera di modella, vincendolo nel 1959.

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1973
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Ancora in posa per Willie Christie, Vogue 1977

 

Grandi occhi da gatta e lunghi capelli fulvi, diviene in breve tempo una delle modelle più gettonate degli anni Sessanta e posa per fotografi del calibro di Frank Horvat, Norman Parkinson e Don Honeyman. Ma all’età di ventisei anni la sua carriera subisce un brusco stop a causa di un grave incidente automobilistico che la lascia sfigurata. La Coddington dovrà subire diversi interventi chirurgici per tornare quella di un tempo. Due anni dopo l’incidente, all’età di ventotto anni, fu intervistata dall’editrice di Vogue Beatrix Miller, e successivamente assunta come junior fashion editor.

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Foto di Helmut Newton
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Grace ritratta da Helmut Newton, 1973

 

La Coddington è brillante nel suo nuovo ruolo: gli anni trascorsi a posare come modella hanno infatti fortemente influenzato il suo stile e l’hanno resa capace di capire ed anticipare le tendenze.

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Vogue US, dicembre 2004, foto di Annie Leibovitz, stylist Grace Coddington
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Natalia Vodianova come Alice in Wonderland, foto di Annie Leibovitz
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Amy Adams & Tim Burton, Vogue dicembre 2014, foto di Annie Leibovitz
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Suggestioni oniriche e outfit teatrali negli shoot di Grace Coddington

 

La sua carriera prosegue con l’incarico di Photo Editor per Vogue UK, ruolo che ricopre per ben diciannove anni, prima di trasferirsi a New York. Qui inizia a lavorare nel 1987 per Calvin Klein come design director. Nel luglio 1988 approda alla redazione di Vogue America, al fianco di Anna Wintour, che ha appena succeduto, come editor-in-chief, a Diana Vreeland. Nel 1995 viene nominata direttore creativo della rivista.

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Vogue US dicembre 2008, Coco Rocha per Annie Leibovitz
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Coco Rocha e Roberto Bolle, Vogue US dicembre 2008
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Coco Rocha e Roberto Bolle come Romeo e Giulietta, foto di Annie Leibovitz

 

Stylist dal gusto iper femminile e dalle suggestioni vagamente retrò, i suoi editoriali sono onirici e sontuosi, veri e propri capolavori. Grace Coddington ha lavorato al fianco di fotografi del calibro di Mario Testino, Anne Leibovitz, Helmut Newton, Irving Penn, Patrick Demarchielier, Steven Meisel, Peter Lindberg, Bruce Weber, Arthur Elgort.

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‘Wild Irish Rose’, Vogue US settembre 2013, foto di Annie Leibovitz
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Daria Werbowy per Annie Leibovitz
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Atmosfere vittoriane per l’editoriale ideato da Grace Coddington per Vogue US settembre 2013

 

Citazioni letterarie, come lo shooting shakespeariano con un Roberto Bolle nei panni di un novello Romeo Montecchi, o rimandi all’arte pre-raffaellita. Alcuni shooting curati da lei sono entrati di diritto a far parte del patrimonio fotografico dei nostri giorni, come il servizio ambientato nella sua Inghilterra, con una Daria Werbowy struggente, o ancora il remake fotografico del celebre film di Hitchcock “La finestra sul cortile”, con una sofisticata Carolyn Murphy nei panni che furono di Grace Kelly. Uno styling improntato ad un gusto intramontabile: frequente l’uso di gonne a ruota, omaggio ai Fifties, per una femminilità che viene esaltata in modo superbo.

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Natalia Vodianova protagonista di un editoriale struggente
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Puff Daddy & Natalia Vodianova per Annie Leibovitz
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Un amore vissuto in viaggio: ritorna il romanticismo di Grace Coddington

 

Altro capolavoro lo shooting dedicato agli anni Venti ed apparso nel numero di settembre del 2007, così come quello in cui una giovanissima Natalia Vodianova posa come novella Alice in Wonderland per l’obiettivo di Anne Leibovitz, nel dicembre del 2003. Scatti dal gusto fiabesco e dalle suggestioni oniriche, ma non privi di un certo humour tipicamente inglese, come possiamo notare nell’idea -geniale- di trasformare Tom Ford nel Bianconiglio, Marc Jacobs nel Brucaliffo.

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Shoot ispirato alla “Finestra sul cortile” di Alfred Hitchcock
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Carolyn Murphy come Grace Kelly, Vogue US, Aprile 2013
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Carolyn Murphy e Tobey Maguire come Grace Kelly e James Stewart, foto di Peter Lindbergh

 

Editoriali che parlano, che raccontano delle storie. Protagonista è spesso l’amore, intriso di un romanticismo d’altri tempi, come nel servizio con Natalia Vodianova e il rapper Puff Daddy, uscito nel febbraio 2010. Lo shooting, ispirato al film Breve incontro prodotto da David Lean nel 1945, rappresenta la passione di due innamorati, consumata a bordo delle sontuose carrozze di un lussuoso Orient Express.

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Lara Stone in look retro per Mert Alas & Marcus Piggott
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Styling ispirato agli anni Cinquanta
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I Roarin’ Twenties visti da Grace Coddington
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Styling iper femminile curato da Grace Coddington

 

Grande amante dei gatti, Grace Coddington è divenuta celebre presso il grande pubblico nel 2009, in seguito al documentario “The September Issue”, che tratta l’uscita del numero di settembre 2007 di Vogue. Nel 2002 è uscito il libro fotografico “Grace: Thirty Years of Fashion at Vogue”, scritto dal suo fidato collaboratore Jay Fielden.

Jane Birkin contro Hermès. La diva rinnega la borsa che porta il suo nome

Divorzio storico tra Jane Birkin ed Hermès. L’attrice e modella inglese è stata recentemente al centro di una polemica, dopo aver rilasciato alcune dichiarazioni in cui chiedeva apertamente alla maison francese di togliere il suo nome dalla celebre borsa.

Alla base di tale appello ci sarebbe la causa ambientalista sposata dalla Birkin, la quale ha aderito ad una protesta più generale: ad innescare la miccia sarebbe stato il video diffuso dalla PETA, People for the Ethical Treatments of Animals, celebre istituzione di tutela degli animali, in cui si denunciavano le atroci crudeltà subite dai rettili destinati a diventare pellami.

Successivamente l’attore Joaquin Phoenix avrebbe lanciato una petizione per boicottare i capi di abbigliamento fatti con pellami esotici, a cui la Birkin avrebbe aderito.




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La celebre Birkin Bag fu ideata trentuno anni fa, nel 1984. Si narra che l’idea venne al direttore di Hermès dell’epoca, Jean-Louis Dumas, su un volo Parigi-Londra, in cui si trovò seduto accanto alla diva. La borsa della Birkin, strapiena, cadde, rovesciando l’intero contenuto sul pavimento. Ciò indusse Dumas a dedicarle un omaggio, creando appositamente per lei la Birkin Bag.



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Capiente, pratica e funzionale, ma allo stesso tempo estremamente chic, la Birkin Bag ha segnato un’epoca. Sogno proibito di ogni fashion victim che si rispetti nonché oggetto di culto per intenditori, la Birkin di Hermès è uno dei pezzi più esclusivi e costosi al mondo.
It bag evergreen, declinata in svariati colori e materiali, ha contribuito non poco a decretare il mito di Jane Birkin e ad iscriverla tra le icone di stile mondiali degli ultimi tempi.



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Look acqua e sapone, tomboy ante litteram, Jane Birkin ha incarnato lo stile di un’epoca, gli anni Sessanta e Settanta. In costante bilico tra innocenza e malizia, il suo stile nel vestire è divenuto leggenda. Famosa la sua predilezione per sensualissimi look vedo-non vedo, meglio se in tricot o pizzo trasparente. Bellissima anche senza un filo di trucco e in jeans e mocassini, la frangetta sbarazzina sui lunghi capelli e una fotogenia che ha incantato almeno due generazioni.




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Sensualissima nella sua love story scandalosa con il genio Gainsbourg, grazie alla quale conquistò i rotocalchi e le copertine di mezzo mondo.



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La maison più chic d’Europa le ha dedicato un oggetto di culto divenuto celebre. Oggi però la diva sembra aver dimenticato tutto questo, sebbene in nome di una valida causa, quale è quella animalista. Resta solo da chiedersi come mai non ci abbia pensato prima. Je t’aime, moi non plus, è proprio il caso di dire.

Jackie Kennedy, First Lady di eleganza

Quando si parla di eleganza non si può non citate Jacqueline Kennedy, celebre First Lady del più discusso Presidente degli Stati Uniti d’America nonché insuperabile icona di stile.

Classe 1929, segno zodiacale Leone, Jacqueline Lee Bouvier divenne la First Lady per antonomasia. Un mito intramontabile, coi suoi tailleurini bon ton e il peso del ruolo che le era stato imposto.

Donna volitiva, forte e ambiziosa, Jacqueline nacque in una famiglia dell’alta società newyorkese. Provetta cavallerizza, fece la sua prima esperienza lavorativa come giornalista per il Washington Times-Herald, che le affidò il compito di intervistare alcuni tra i personaggi più noti dell’ambiente politico statunitense.

Jackie Kennedy in Oleg Cassini
Jackie Kennedy in Oleg Cassini



Da qui l’incontro con il futuro Presidente John Fitzgerald Kennedy, che sposò il 12 settembre 1953 e da cui ebbe quattro figli. Prese il suo ruolo di First Lady molto seriamente, cercando di fornire un’immagine di sé e della sua famiglia che rasentasse la perfezione.

Jackie Kennedy in Oleg Cassini
Jackie Kennedy in Oleg Cassini




Nell’immaginario collettivo lei è la First Lady per antonomasia. Sempre perfetta, uno stile discreto: l’immancabile filo di perle al collo, i cappellini, i colori pastello e la sobria eleganza negli abiti confezionati per lei da Oleg Cassini, Chanel e Valentino.



Abito Valentino
Abito Valentino
Bozzetto creato per Jackie Kennedy da Valentino
Bozzetto creato per Jackie Kennedy da Valentino

Tailleur Chanel
Tailleur Chanel




Coraggiosa e piena di regale contegno sia di fronte ai presunti tradimenti del marito -tra i quali si sospettava una liaison con Marilyn Monroe, la donna più esplosiva d’America- pagò tutto quel che ottenne, fino a quando le tinte pastello del suo tailleur Chanel si tinsero di sangue.

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È una donna disperata quella che tenta di salvare il marito dal suo brutale assassinio, avvenuto proprio davanti ai suoi occhi. La parabola di un sogno che sembra andare in frantumi, finché, come una fenice, rinasce dalle proprie ceneri, convolando in seconde -quantomai discusse- nozze con l’armatore greco Aristotele Onassis.

I famosi sandali Capri, da lei sdoganati
I famosi sandali Capri, da lei sdoganati
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Jackie Onassis e Valentino Garavani a Capri

A Capri con la borsa dedicatole da Gucci, la Jackie O'
A Capri con la borsa dedicatole da Gucci, la Jackie O’


Da First Lady a Jackie O’. Questo è il periodo in cui la donna incontra il mito. L’icona di stile- tra i trend da lei lanciati i famosi sandali Capri, i pantaloni bianchi a metà polpaccio, il caftano e l’immancabile borsa Jackie O’che Gucci le intitolò. Una signora dello stile.

Zandra Rhodes, la principessa del punk

Nel panorama degli anni Sessanta-Settanta diversi furono i personaggi che maggiormente hanno contribuito a rivoluzionare il costume e la moda. Protagonista assoluta, nella Swinging London di quegli anni, fu Zandra Rhodes.

Nata nel Kent nel 1940, fu iniziata alla magia della moda dalla madre, lettrice presso il Medway College of Art, scuola frequentata da Zandra, che decide di specializzarsi nello studio delle stampe tessili. Le sue prime stampe vennero però considerate troppo ardimentose per l’epoca. Fu così che la giovane Zandra decise di creare un proprio marchio, divenendo leader indiscussa nella creazione di capi stampati.

Tra il 1966 e il 1967, insieme a Sylvia Ayton, un’amica conosciuta al college, Zandra aprì a Londra il suo primo negozio, The Fulham Road Clothes Shop. Protagonista assoluto di questo piccolo gioiello nel cuore della Swinging London era il colore, declinato in ogni tipo di stampa.

Un modello Zandra Rhodes
Un modello Zandra Rhodes


Le particolari stampe,  tipiche del brand
Le particolari stampe, tipiche del brand



Omaggio alla designer
Omaggio alla designer


Le stampe simbolo di un'epoca
Le stampe simbolo di un’epoca


Stampe da tutte le culture del mondo
Stampe da tutte le culture del mondo



Grande conoscitrice di svariate culture ed etnie, Zandra traeva ispirazione dall’Africa, per le stampe batik, dal Messico, dal Giappone e dall’Estremo Oriente. In poco tempo il suo negozio divenne punto di riferimento per un sottobosco di giovani che volevano ribellarsi alla cultura dominante e che cercavano anche attraverso la moda un mezzo di riscatto per affermare la propria libertà.


Rivoluzione dei favolosi Swinging Sixties
Rivoluzione dei favolosi Swinging Sixties


Uno stile unico
Uno stile unico



Nel 1969 portò la propria collezione a New York, dove conquistò Diana Vreeland che la recensì su Vogue US. Nel 1977 fu la prima designer a creare una collezione punk.


Un ritratto della designer, icona dello stile punk
Un ritratto della designer, icona dello stile punk


Foto degli anni Settanta
Foto degli anni Settanta


Un altro scatto sempre risalente ai primi anni Settanta
Un altro scatto sempre risalente ai primi anni Settanta


Lei stessa divenne un simbolo: capelli rosa shocking, trucco pesante, spille da balia cucite in ogni outfit, Zandra Rhodes ottenne presto l’appellativo di “Principessa del Punk”.

L'attrice Natalie Wood indossa una creazione di Zandra Rhodes, foto di Gianni Penati
L’attrice Natalie Wood indossa una creazione di Zandra Rhodes, foto di Gianni Penati


Anjelica Huston in Zandra Rhodes per Vogue UK, settembre 1971, foto di David Bailey


Penelope Tree in Zandra Rhodes
Penelope Tree in Zandra Rhodes


Pat Cleveland in Zandra Rhodes
Pat Cleveland in Zandra Rhodes


Inizia il clamore, posano indossando le sue creazioni Bianca Jagger, Anjelica Huston, Penelope Tree. Crea nuovi capi appositamente per Freddie Mercury e i Queen, per Debbie Harry, Kylie Minogue, Jackie Onassis, Lady Diana, Liz Taylor, e ancora Sarah Jessica Parker e Paris Hilton.

Bianca Jagger in Zandra Rhodes per il Sunday Times Magazine, 1972
Bianca Jagger in Zandra Rhodes per il Sunday Times Magazine, 1972


Bianca Jagger in Zandra Rhodes per il Sunday Times Magazine, 1972
Bianca Jagger in Zandra Rhodes per il Sunday Times Magazine, 1972


Ancora la Jagger per il Sunday Times Magazine, 1972
Ancora la Jagger per il Sunday Times Magazine, 1972


Harper's Bazaar Maggio 1976
Harper’s Bazaar Maggio 1976


Oggi Zandra Rhodes è curatrice del Fashion and Textile Museum di Londra. Nel 1997 è stata insignita del titolo di Commander of British Empire. Nel 2005 la galleria Carla Sozzani le ha dedicato una retrospettiva sul suo lavoro. Attualmente la Rhodes si dedica alla creazione di gioielli e di una linea di make up.

Uno scatto recente delle collezioni Zandra Rhodes
Uno scatto recente delle collezioni Zandra Rhodes


Il mito continua fino ad oggi
Il mito continua fino ad oggi

Saint Laurent, sarà di nuovo Haute Couture

Rivoluzione in casa Saint Laurent. Dopo anni di prêt-à-porter si torna all’Haute Couture. Hedi Slimane, dal 2012 a capo della direzione creativa dello storico brand francese, ha appena presentato le prime foto della nuova campagna pubblicitaria dell’esclusiva “ligne privée”. Una collezione che travalica l’haute couture: la linea si presenta come il ritorno ad una sartorialità ormai estinta.



Ahn Duong in Yves Saint Laurent Haute Couture P/E 1986
Ahn Duong in Yves Saint Laurent Haute Couture P/E 1986


Non ci sarà alcuna sfilata ma a beneficiare delle esclusive creazioni sarà una ristretta élite di celebrities, principalmente attori e musicisti. Si tratterà di capi sia maschili che femminili, sia da giorno che da sera.



Yves Saint Laurent Haute Couture 1992
Yves Saint Laurent Haute Couture 1992


Slimane, già dall’età di ventisette anni direttore creativo della linea YSL Rive Gauche nonché pupillo di Pierre Bergé, nel 2012 assunse le redini della maison cambiandone anche il nome, non senza una lunga scia di polemiche da parte dei “puristi”. Dopo aver radicalmente cambiato lo stile che caratterizzava la maison francese, conferendogli un’allure più moderna e metropolitana, ora si torna alle origini.

Karen Mulder in Yves Saint Laurent Haute Couture, Parigi 20 luglio 1994
Karen Mulder in Yves Saint Laurent Haute Couture, Parigi 20 luglio 1994
Yves Saint Laurent Haute Couture A/I 1990
Yves Saint Laurent Haute Couture A/I 1990

YSL Haute Couture, P/E 1994
YSL Haute Couture, P/E 1994




Le collezioni Haute Couture di Yves Saint Laurent hanno fatto storia: impossibile non ricordare le top models, da Carla Bruni a Claudia Schiffer e ancora Karen Mulder fino ad una prorompente Laetitia Casta in versione botticelliana.

Laetitia Casta, YSL Haute Couture, P/E 1999
Laetitia Casta, YSL Haute Couture, P/E 1999
Esther Cañadas in YSL Haute Couture P/E 1999
Esther Cañadas in YSL Haute Couture P/E 1999
Carla Bruni, Yves Saint Laurent Haute Couture, 2002
Carla Bruni, Yves Saint Laurent Haute Couture, 2002

Una giovanissima Naomi Campbell in passerella per YSL Haute Couture, 1987
Una giovanissima Naomi Campbell in passerella per YSL Haute Couture, 1987




Uno stile inconfondibile, che conferiva ad ogni donna un’aria da diva. Sofisticata, in lunghi guanti di raso e sfarzosi abiti da sera, o misteriosa, il volto nascosto sotto eleganti cappelli e tailleur dalla linea perfetta.

YSL Haute Couture, A/I 1995
YSL Haute Couture, A/I 1995
YSL Haute Couture A/I 1976
YSL Haute Couture A/I 1976
P/E 1990
P/E 1990
P/E 1993
P/E 1993
A/I 1990
A/I 1990

1986
1986


L’opulenza e lo charme di un’epoca felice della moda internazionale. Innumerevoli le muse di monsieur Yves, da Loulou de la Falaise a Catherine Deneuve.

Ancora Carla Bruni in passerella per YSL Haute Couture
Ancora Carla Bruni in passerella per YSL Haute Couture
Renée Simonsen in Yves Saint Laurent Haute Couture P/E 1988, L'Officiel Paris, foto di Micheal Zeppetello
Renée Simonsen in Yves Saint Laurent Haute Couture P/E 1988, L’Officiel Paris, foto di Micheal Zeppetello
Catherine Deneuve in YSL Haute Couture, 1969
Catherine Deneuve in YSL Haute Couture, 1969

Collezione P/E 1988
Collezione P/E 1988


Auspichiamo che tale arte possa ritornare, dalle gloriose vestigia del passato di casa Saint Laurent.

L’arte fotografica di Louise Dahl-Wolfe

Ci sono fotografie che travalicano gli stessi confini dell’industria del fashion per abbracciare invece un concetto molto più universale, quello dell’arte.

È sicuramente il caso delle foto di Louise Dahl-Wolfe, che tradiscono un’intrinseca perfezione che merita di essere conosciuta ed approfondita.

Louise Emma Augusta Dahl nasce il 19 novembre 1895 a San Francisco da genitori emigrati negli Stati Uniti della Norvegia. Nel 1914 iniziò i suoi studi presso la California School of Fine Arts (oggi San Francisco Institute of Art). Per i sei anni seguenti ampliò gli orizzonti dello studio della fotografia apprendendo nozioni di anatomia e pittura.

Natalie in cappotto Grès, Kairouan, Tunisia, 1950
Natalie in cappotto Grès, Kairouan, Tunisia, 1950
Tunisia, 1950
Tunisia, 1950

Deserto del Mojave, California, Harper's Bazaar, maggio 1948
Deserto del Mojave, California, Harper’s Bazaar, maggio 1948




Successivamente studiò Design ed architettura presso la prestigiosa Columbia University. Nel 1928 convolò a nozze con lo scultore Meyer Wolfe, che allestì i set di molte delle sue foto più famose.

La sua arte fotografica, estremamente all’avanguardia per l’epoca, vedeva una predilezione per la luce naturale e le location esterne come pure per la ritrattistica. Furono ritratti da lei personaggi celebri, da Mae West al poeta W. H. Auden, da Cecil Beaton ad Orson Welles.

Jessica Taft, Trinidad, 1957
Jessica Taft, Trinidad, 1957
Mary Sykes, Escambron Beach Club, Porto Rico, Harper's Bazaar Dicembre 1938
Mary Sykes, Escambron Beach Club, Porto Rico, Harper’s Bazaar Dicembre 1938

Jean Patchett a Granada, Spagna, 1953
Jean Patchett a Granada, Spagna, 1953




Braccio destro di Diana Vreeland nella redazione del celebre magazine Harper’s Bazaar, è sua la foto di copertina del numero di marzo 1943, che vede una ancora acerba Lauren Bacall, appena scoperta dal lungimirante occhio della Vreeland. Tra le sue modelle preferite Mary Jane Russell, che si stima compaia nel trenta per cento dell’intero patrimonio fotografico lasciatoci da Louise Dahl-Wolfe.

La fotografa influenzò le opere di Richard Avedon e Irving Penn. Uno dei suoi assistenti fu il celebre fotografo Milton H. Greene, famoso per avere immortalato Marilyn Monroe.

Evelyn Tripp a Gioia del Colle, Puglia. 1955
Evelyn Tripp a Gioia del Colle, Puglia. 1955
1956
1956

Uno scatto per Harper's Bazaar, 1947
Uno scatto per Harper’s Bazaar, 1947




La Dahl-Wolfe lavorò per Harper’s Bazaar dal 1936 al 1958, membro dello staff composto da Carmel Snow (editor), Alexey Brodovitch (Art director) e la già citata Diana Vreeland come fashion editor. Immenso è il patrimonio prodotto: 86 copertine, 600 foto a colori ed innumerevoli scatti in bianco e nero.

Tantissimi furono i viaggi di lavoro, che testimoniano ancora una volta l’importanza che la location -meglio se esotica- rivestiva secondo la Dahl-Wolfe. Molte sono le fotografie in cui protagonista è la carta geografica: una mappa, nascosta in un angolo del set o in mano alla modella, sia che indossasse sontuosi abiti da sera o semplici costumi da bagno. Quasi un talismano, o un monito a ricordare quanta eleganza ci sia nell’apprendere nuove culture e nel visitare nuovi angoli del pianeta.

Harper's Bazaar, Agosto 1949
Harper’s Bazaar, Agosto 1949
Jean Patchett con mappa, Granada, Spagna, 1953
Jean Patchett con mappa, Granada, Spagna, 1953
Ritorna la mappa, "firma" della fotografa
Mary Jane Russell, una delle modelle più amate dalla fotografa
Ancora Mary Jane Russell
Ancora Mary Jane Russell

Ritorna la carta geografica
Ritorna la carta geografica, “firma” della Dahl-Wolfe




Dal 1958 fino al suo ritiro, due anni più tardi, lavorò per Vogue, Sports Illustrated e altri magazine. Morì di polmonite nel 1989. Dieci anni dopo, nel 1999, la sua opera fu raccolta in un documentario dal titolo “Louise Dahl-Wolfe: Painting with Light”. Ed è proprio così, i suoi scatti ricordano spesso dei ritratti, sapientemente creati grazie ad un uso magistrale della luce. Quel che più colpisce è la modernità di certi suoi scatti, semplici eppure di grande effetto.



Atmosfere esotiche in molti dei suoi scatti, come questo, del 1950
Atmosfere esotiche in molti dei suoi scatti, come questo, del 1950
Scatto per Harper's Bazaar
Scatto per Harper’s Bazaar
Ancora Harper's Bazaar
Ancora Harper’s Bazaar
Scatto molto raro, per Harper's Bazaar Maggio 1946
Scatto molto raro, per Harper’s Bazaar Maggio 1946
Editoriale moda per Harper's Bazaar con le carte da gioco, Agosto 1953
Editoriale moda per Harper’s Bazaar con le carte da gioco, Agosto 1953
Un'altra foto tratta dallo stesso editoriale
Un’altra foto tratta dallo stesso editoriale
Una delle tante cover per Harper's Bazaar
Una delle tante cover per Harper’s Bazaar
L'incredibile modernità nell'uso della luce
L’incredibile modernità nell’uso della luce
Lady Margaret Strickland con turbante, 1938
Lady Margaret Strickland con turbante, 1938

Suzy Brewster, Miami, Florida, 1941
Suzy Brewster, Miami, Florida, 1941




Una donna dalla personalità molto forte, che lasciò il suo posto nella redazione di Harper’s Bazaar quando alla Vreeland subentrò un nuovo fashion editor, che tentò -senza successo- di cambiare lo stile delle sue foto. I suoi scatti restano ancora oggi un insuperato capolavoro di stile. Per veri intenditori.

Wang lascia Balenciaga

Si rincorrevano voci già da tempo ma ora pare sia ufficiale: secondo fonti molto vicine alla maison, Alexander Wang starebbe per lasciare la direzione di Balenciaga. Il giovane designer, da due anni a capo della direzione creativa dello storico marchio francese, si appresterebbe a lasciare il suo incarico.

Raramente uno stilista ha diviso tanto gli esperti di moda. C’era chi lo adorava e chi invece non riusciva proprio a capirlo. Forse lo stile iper funzionale e minimalista del designer americano poteva apparire lontano da un brand che, fin dagli albori, aveva puntato tutto su un concetto classico di stile.

Classe 1983, nato in California da genitori originari di Taiwan, Wang era direttore creativo di Balenciaga dallo scorso 2013. Secondo le indiscrezioni, il gruppo Kering di François Pinault, proprietario del brand, non sarebbe intenzionato a rinnovare il contratto allo stilista.

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Diana Vreeland. La regina dello stile.

Nasceva oggi il personaggio più eclettico e rivoluzionario della moda. Unica, ironica come nessuna, visionaria, folle. Diana Dalziel poi Vreeland (cognome del marito) nasce a Parigi il 29 luglio del 1903. La madre, la socialite Emily Key Hoffman, vanta una parentela con George Washington e con Pauline de Rothschild.
Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, la famiglia si trasferisce a New York, dove la giovane Diana fa il suo debutto in società nel 1922, comparendo -quasi una premonizione del suo imminente futuro- su Vogue proprio per l’occasione.
Due anni più tardi, il primo marzo 1924, sposa il banchiere Thomas Reed Vreeland, da cui avrà due figli.


Diana


La coppia si trasferisce per un periodo a Londra. Qui Diana apre una boutique che annovera tra le clienti Wallis Simpson. Frequenti sono i viaggi di Diana a Parigi, dove conosce Coco Chanel, nel 1926. Nel 1935 il lavoro del marito li riporta nella Grande Mela.


Diana


L’anno successivo, il 1936, segna l’inizio del mito di Diana Vreeland. Notata per il suo stile nel vestire da Carmel Snow, lungimirante fashion editor di Harper’s Bazaar, le viene proposta una rubrica all’interno del magazine. Nasce così “Why don’t you…?”, la rubrica che fece conoscere al mondo l’ironica Diana.


Diana


Deliziosamente sopra le righe, in bilico tra l’umorismo più sottile e certa leziosità femminile che mai passerà di moda, Vreeland gioca coi suoi lettori, consigliando loro, tra le altre cose, di “tappezzare le camere da letto dei loro figli di stampe tratte dagli atlanti geografici, affinché essi non crescano con un punto di vista provinciale”, o di “esaltare il biondo naturale dei loro capelli lavandoli con lo champagne”.


Diana


Lasciare carta bianca al suo genio fu certamente mossa vincente per la Snow, che di certo contribuì alla creazione di un mito. Diana Vreeland fu talent scout ante litteram. Innumerevoli sono i volti che scoprì, da Lauren Bacall a Marisa Berenson, da Twiggy a Loulou de la Falaise e ancora Penelope Tree, Jane Shrimpton, Veruschka von Lehndorff, Edie Sedgwick.


Diana


Affiancata come nuova fashion editor di Harper’s Bazaar da fotografi del calibro di Richard Avedon, Louise Dahl-Wolfe, Alexey Brodovitch, nel 1962 passò a Vogue: qui ricoprì l’incarico di editor-in-chief dal 1963 al 1971. Pochi anni, se vogliamo, ma durante i quali avvenne una vera e propria rivoluzione culturale. Diana Vreeland è forse la donna che ha maggiormente influenzato l’arte visiva e la cultura visiva del secolo scorso. Non solo una semplice fashion editor ma la protagonista di una vera e propria rivoluzione che ha interessato il panorama culturale in toto. Addentrarsi negli anni Sessanta, i fatidici Swinging Sixties, il decennio in assoluto più rivoluzionario, con una guida così progressista, era garanzia di successo.


Diana


Sopra le righe, certa che “troppo buon gusto fosse noioso e che un pizzico di cattivo gusto serviva a dare un po’ di sapore”, Diana Vreeland odiava le convenzioni e le vecchie ideologie legate allo stile. Il cognome da nubile, Dalziel, in gaelico antico “Io oso”, è già un programma. Celebri, le sue frasi, che ci aprono nuove prospettive.


Diana


Come quando si espresse sul bikini, che definì “l’invenzione più importante dai tempi della bomba atomica”. Una iron lady della moda, granitica e rivoluzionaria. Nel 1965 veniva annoverata dalla Hall of Fame tra le donne meglio vestite al mondo.


Diana


Clamorosamente licenziata da Vogue (ebbene sì, incredibile ma vero!), nel 1971 le venne affidato l’incarico di curatrice dell’Istituto di Costume del Metropolitan Museum of Art. Nel 1984 ultimò la sua autobiografia, “D.V.” e morì nel 1989 per un attacco cardiaco.


Diana


Nel settembre 2011 venne creato il sito a lei dedicato, mentre il suo impero viene oggi curato dal nipote Alexander Vreeland, che lo scorso anno le ha dedicato delle fragranze. Nel settembre 2011 é uscito invece il documentario The Eye has to Travel, a cura di Lisa Immordino Vreeland, moglie di Alexander.

Trend estate 2015 – tutti pazzi per il crochet

Trend indiscusso dell’estate 2015, il crochet (o uncinetto, che dir si voglia) spopola ovunque: dai bikini ai copricostumi in spiaggia fino agli abiti da sera e agli accessori. Bianco, per esaltare al massimo l’abbronzatura, o nero, in versione sexy, il crochet esalta come pochi altri capi il corpo femminile.

Ma vediamo la storia di questo fashion trend.

Il termine crochet deriva dal francese antico “crochet”, equivalente del termine tedesco “croc”, entrambi significanti “uncino”. Le prime tracce della particolare lavorazione crochet si attestano nel diciannovesimo secolo. Il crochet fa la sua prima apparizione su un magazine femminile olandese, Pénélopé, nel 1824.

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abito in crochet bianco


Jane Birkin fu una spassionata fan dei capi fatti con l’uncinetto, nelle sue uscite ufficiali e persino per il suo matrimonio con Serge Gainsbourg.

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Jane Birkin


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Jane Birkin e Serge Gainsbourg


La malizia del nude look e il candore virginale del bianco si mixano alla perfezione, mentre il nero è perfetto per la sera, per un effetto super sexy.

TWIN-SET Simona Barbieri
TWIN-SET Simona Barbieri


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abito in crochet a colori


I colori invece creano geometrie perfette per la stagione estiva, come si è visto anche sulle passerelle di Valentino, che propone tinte pastello perfette per romantici capi lavorati a maglia.

Valentino P/E 2015
Valentino P/E 2015


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Emilio Pucci P/E 2015




Emilio Pucci è un habitué del crochet, tanto che abitualmente nelle collezioni primaverili fa sfilare capi lavorati all’uncinetto; in questa estate 2015 non si smentisce, proponendo gilet finemente decorati, che conferiscono un dettaglio gipsy anche al look più semplice.
Il crochet, la riscoperta di un hobby che un tempo era considerato prerogativa delle nonne e che oggi acquisisce un nuovo charme.
Un evergreen che non passerà mai di moda.