Happy Birthday, Twiggy!

È la modella che ha rivoluzionato il concetto di bellezza. La più fotografata e la più amata in assoluto. Dopo aver segnato un’epoca col suo volto, Twiggy spegne 66 candeline. Una carriera sfavillante, iniziata per caso, fino a divenire icona quasi mitologica degli anni Sessanta. Figlia di quella Swinging London che ne ha forgiato lo stile, Twiggy ha incarnato lo spirito di quegli anni.

Nata a Neasden, un sobborgo di Londra, il 19 settembre del 1949, Lesley Hornby -questo il suo vero nome- è una ragazza gracile e dai lineamenti fanciulleschi. Assai diversa dallo standard allora vigente, che identifica la bellezza in donne dal fisico meno acerbo, l’appena sedicenne Lesley viene notata dal fotografo di moda Justin de Villeneuve, mentre lavora in un parrucchiere.

Tra i due nasce un rapporto sentimentale e lavorativo: Villeneuve ha fiuto e intuisce subito che quel viso così grazioso ha una marcia in più. Dopo esserne diventato il manager, è lui stesso a lanciare la ragazza e a scegliere per lei il soprannome di Twiggy, letteralmente “grissino”, un esplicito riferimento alla sua magrezza adolescenziale.

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Twiggy ha incarnato lo stile della Londra anni Sessanta
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Twiggy su Vogue, 1967
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Nata a Neasden, un sobborgo di Londra, la modella è stata scoperta all’età di sedici anni
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Tipico look anni Sessanta per Twiggy
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La modella è stata testimonial di Mary Quant, che con la sua minigonna ha rivoluzionato la moda
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Entusiasmo fanciullesco per la modella grissino
Sugli autoscontri al Bertram Mills Circus, Londra, 1967
Sugli autoscontri al Bertram Mills Circus, Londra, 1967

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Foto di Bert Stern, New York, 1967


Basta fare circolare qualche foto della ragazza e tutto ha inizio: quel volto così particolare ben si addice al fermento rivoluzionario della Londra di quegli anni. Grandi occhi da cerbiatto, sguardo innocente e sorriso spontaneo su gambe nervose, Twiggy emana una freschezza che incanta tanto la gente comune quanto gli addetti ai lavori della moda. In appena un anno la modella grissino diviene una star. Le ciglia finte e il make up disegnato ad esaltare gli immensi occhioni, gli abitini a trapezio e le minigonne: il suo stile incarna l’anima più swing degli anni Sessanta. Idolatrata, imitata e ambita dai designer inglesi e non, viene nominata dal Daily Express “Il volto del ’66”.

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Foto di Ronald Traeger
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Un altro scatto di Ronald Traeger

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Twiggy fotografata davanti ad un dipinto di Bridget Riley, tuta di Gene Shelly, Vogue, 1967, foto di Bert Stern


Successivamente diventa il volto di brand del calibro di Biba e Mary Quant, che la sceglie come testimonial della sua celebre minigonna. Una rivoluzione dentro la rivoluzione: sullo sfondo della liberazione dei costumi si consuma un altro epocale cambiamento, per cui il concetto standard di bellezza e femminilità vigente viene completamente stravolto dal candore della nuova icona: Twiggy è la prima modella a rappresentare una nuova donna, giovane e gioiosa.

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Uno scatto per Vogue, maggio 1967, foto di Ronald Traeger
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Mood spaziale in uno scatto di Bert Stern, 1967
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Twiggy Lawson per Sangeran, 1970, foto di Bert Stern

Twiggy in un celebre scatto di Richard Avedon, acconciatura di Ara Gallant, Parigi, gennaio 1968


Compiuti i diciotto anni, Twiggy rompe la relazione sentimentale con Villeneuve. La sua fama è ormai mondiale, tutti la acclamano e nuove occasioni si profilano presto all’orizzonte. Parallelamente al lavoro di modella, Twiggy compare in alcuni film, come “Il Boyfriend”, di Ken Russell (1971). Per il suo ruolo vince due Golden Globe. Nello stesso tempo inizia ad incidere dei cd, con un discreto successo: tra i generi prediletti dalla nuova pop star troviamo il rock, il pop, la musica disco e country. Ormai divenuta un personaggio, posa accanto a David Bowie per la copertina del suo album “Pin Ups”, nel 1973. Dal celebre film “The Blues Brothers” fino ad un cameo all’interno del Muppet Show, il volto di Twiggy diviene emblema di un secolo.

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Twiggy in completo maschile, 1968
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Twiggy indossa scarpe di George Cleverley in una foto di Justin de Villeneuve, anni Settanta
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Uno scatto tratto da Vogue, 1967
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Twiggy ritratta da Bert Stern, New York, 1967
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Con cappellino Snoopy, foto di Bert Stern, novembre 1967
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Twiggy indossa un cappotto di Emeric Partos dipinto a fiorellini da Giorgio di Sant’ Angelo, foto di Richard Avedon per Vogue, New York, 14 Aprile 1967
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Ritratta da Richard Avedon, 1967

Ritratta da Cecil Beaton per Vogue, 1967
Ritratta da Cecil Beaton per Vogue, 1967


La sua carriera, variegata e in continua evoluzione, la vede presentatrice televisiva negli anni Novanta, con un suo show, “Twiggy’s People”, dove intervista personalità del calibro di Dustin Hoffman, Lauren Bacall e Tom Jones. Nel 2005 torna a posare come modella e diviene il volto di Marks & Spencer. Inoltre è stata giudice di America’s Next Top Model dalla quinta alla nona stagione, celebre show televisivo condotto da Tyra Banks.
Tanti auguri ad un mito vivente.

Ritratta da Bert Stern per Vogue, 15 marzo 1967
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Vogue 1867, foto di Bert Stern
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Suggestioni Roarin’ Twenties nello scatto di Terry Fincher, Londra 1966

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Twiggy Lawson, all’anagrafe Lesley Hornby, è nata a Londra il 19 settembre 1949



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Carmen Dell’Orefice: la regina delle passerelle

Ha sdoganato i capelli bianchi rendendoli un fashion trend; ha eliminato tutti i tabù riguardanti il tempo che passa. Se pensate che l’età sia qualcosa da nascondere non avete ancora conosciuto Carmen Dell’Orefice.

Classe 1931, alla veneranda età di 84 anni è la top model più longeva del mondo. La sua falcata elegante, il viso intenso e i lineamenti che trasudano charme, la top model è ancora richiestissima nelle passerelle e nei servizi di moda.

Nata a New York City da genitori di origine italiana ed ungherese, Carmen vive un’infanzia difficile a causa della burrascosa relazione dei genitori. La piccola viene affidata a lontani parenti e a case famiglia fino agli undici anni, quando va a vivere con la madre. Il portamento fiero, la curva gentile del mento e il lungo collo da cigno non passano inosservati.

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Carmen Dell’Orefice è nata a New York il 3 giugno 1931
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Una carriera iniziata ad appena tredici anni, Carmen Dell’Orefice è la top model più longeva al mondo

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La top model ha sdoganato i capelli bianchi come fashion trend


Ad appena tredici anni Carmen viene notata dalla moglie del fotografo Herman Landschoff. La ragazzina posa per dei test fotografici che però, a detta della stessa top model ammette, non furono all’altezza delle aspettative. Ma la sua bellezza non tarda a portarle il successo: è il 1946 quando la giovane viene presentata a Vogue, la Bibbia della moda. Qui firma un contratto per 7 dollari l’ora e diviene modella prediletta del fotografo di fama mondiale Erwin Blumenfeld, che la ritrae nella sua prima cover per Vogue, nel 1946. Il suo volto conquista immediatamente gli addetti ai lavori, ben consapevoli di trovarsi di fronte ad una futura stella della moda. Ma i guadagni derivanti dalla sua attività di modella non bastano a sostenere Carmen e la madre: le due sono sprovviste persino del telefono e le redazioni di moda sono costrette a mandare dei fattorini a casa della modella per darle le notizie sui nuovi lavori.

Denutrita al punto che i celebri fotografi Horst P. Horst e Cecil Beaton sono costretti ad appuntare il retro dei vestiti da lei indossati, Carmen e la madre si inventano un lavoro e iniziano a creare dei vestiti. Tra le loro clienti vi furono la modella Dorian Leigh e la sorella minore di quest’ultima, la celebre top model Suzy Parker.

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Una vita piena di avversità e nuove sfide, quella di Carmen Dell’Orefice
Carmen Dell'Orefice, foto di Richard Avedon, 1957
Carmen Dell’Orefice, foto di Richard Avedon, 1957
Carmen Dell'Orefice al Folies Bergère, foto di Richard Avedon per Harper's Bazaar, 1957
Carmen Dell’Orefice al Folies Bergère, foto di Richard Avedon per Harper’s Bazaar, 1957
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La top model è stata la modella più giovane ad essere apparsa sulla cover di Vogue America, ad appena sedici anni

La prima cover di Carmen Dell'Orefice per Vogue, 1947
La prima cover di Carmen Dell’Orefice per Vogue, 1947


Nel 1947 le quotazioni di Carmen Dell’Orefice iniziano a salire e lo stesso avviene per le sue finanze. Nell’ottobre dello stesso anno ottiene una cover di Vogue ad appena 16 anni, entrando nella storia come la modella più giovane ad essere apparsa sulla copertina del celebre magazine. Nella sua carriera sfolgorante, Carmen Dell’Orefice ha posato per fotografi del calibro di Irving Penn, Richard Avedon, Francesco Scavullo, Norman Parkinson e Melvin Sokolsky, che la immortala per Harper’s Bazaar nel 1960 e per Vanity Fair.

Musa di Salvador Dalí, le condizioni di salute di Carmen non sono buone e la sua magrezza allarmante ritarda anche l’avvento della pubertà. Dopo un iniziale rifiuto, nel 1953 l’agenzia di Eileen Ford accetta di rappresentarla: dopo aver seguito delle terapie ormonali Carmen ha una nuova bellezza. Sul suo fisico un tempo androgino e sottile sono esplose delle curve mozzafiato che ne hanno addirittura accresciuto la bellezza e le hanno procurato nuovi ingaggi come modella di cataloghi di lingerie.

Carmen dell'Orefice in abito da sera Ceil Chapman, Vogue America 1949
Carmen dell’Orefice in abito da sera Ceil Chapman, Vogue America 1949
Carmen Dell'Orefice in una foto di John Rawlings 1948
Carmen Dell’Orefice in una foto di John Rawlings 1948
Carmen Dell'Orefice a Londra, settembre 1960
Carmen Dell’Orefice fotografata da Norman Parkinson per Queen Magazine, Londra, settembre 1960

1958, foto di F. C. Gundlach
Uno scatto di F. C. Gundlach, 1958


La modella decide di ritirarsi dalle passerelle nel 1958, dopo il suo secondo matrimonio, con il fotografo Richard Heimann. Dopo un ventennio trascorso lontana dai riflettori, al suo terzo divorzio, nel 1978, Carmen ritorna a sfilare. Il passare del tempo non ne ha scalfito minimamente lo charme e la top model è ancora ricercatissima. Nuove copertine la vedono immortalata, da Vogue a Harper’s Bazaar a W Magazine.

Insignita nel 2011 di una laurea honoris causa dalla University of the Arts di Londra, per il suo contributo nel fashion biz, è stata anche celebrata con una retrospettiva curata dal grande illustratore di moda inglese nonché suo grande amico David Downton.

Carmen Dell'Orefice alle Bahamas, foto di Norman Parkinson per Vogue, luglio 1959
Carmen Dell’Orefice alle Bahamas, foto di Norman Parkinson per Vogue, luglio 1959
Foto di Erwin Blumenfeld
Foto di Erwin Blumenfeld
Town Country Magazine 1981
Town Country Magazine 1981
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Town Country Magazine, 1981

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Carmen Dell’Orefice è ancora richiestissima come modella, sia per le passerelle che per le riviste


Una vita vissuta spesso su un ottovolante, Carmen Dell’Orefice è una donna forte, che ha attraversato indenne momenti molto duri. Investimenti sbagliati l’hanno portata, tra gli anni Ottanta e i Novanta, a perdere nuovamente il suo intero patrimonio. Coinvolta nella frode fiscale di Bernie Madoff, la top model si è ritrovata in bancarotta. Tre divorzi e numerosi aborti alle spalle, il rapporto conflittuale con la figlia e gli spaventosi crolli finanziari non ne hanno scalfito la serenità. I suoi occhi guardano oltre, il suo sorriso è celestiale e il suo proposito è di morire indossando i tacchi alti. Una grande lezione di stile, per tutte le donne che temono l’età.


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Biba: lo stile di un’epoca

Il nome di Biba rappresenta un tassello fondamentale nella moda, dagli anni Sessanta fino ai nostri giorni. Simbolo di uno stile unico, portavoce di una rivoluzione che dalla Swinging London si è allargata a macchia d’olio fino ad entrare nei libri di storia, Biba è stato crocevia di tendenze e fucina artistica.

Biba è Barbara Hulanicki, brillante designer nata a Varsavia nel 1936, acuta osservatrice della realtà circostante. Barbara avverte il fermento culturale della Londra anni Sessanta, e in quest’ambito rientra un nuovo modo di approcciarsi alla moda. Biba nasce come un piccolo negozietto di moda, senza pretese, che viene inaugurato nel settembre 1964 ad Abingdon Road, Kensington, nel cuore di Londra. Da Biba si vendono capi a basso costo che le clienti possono prenotare tramite posta. Sembrerebbe un negozio ordinario, nulla inizialmente lascia supporre che quel brand entrerà invece nella storia della moda, attraversando indenne mezzo secolo.

Un primo traguardo è l’apparizione di un capo Biba sul Daily Mirror: è un abito rosa a quadretti vichy, molto simile ad un modello indossato in quel periodo da Brigitte Bardot. Ma il giorno dopo l’articolo, quello stesso capo riceve oltre 4.000 ordini, e complessivamente saranno venduti oltre 17.000 pezzi dello stesso.

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Biba è il marchio di Barbara Hulanicki, celebre negozio londinese che ha caratterizzato gli anni Sessanta
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Lo stile di Biba: lunghe gambe, stampe e colori scuri
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Dalla Swinging London ai giorni nostri, Biba è un evergreen della moda

 

Barbara Hulanicki
Barbara Hulanicki


Il primo incontro tra la proprietaria dello store e le clienti vede una coincidenza fortuita: incuriosite da un abito in gessato marrone, un gruppetto di ragazze si affolla davanti agli scatoloni che propongono quel modello ed abiti simili. In realtà il capo si trova lì dentro casualmente, solo perché quegli scatoloni non entrano più nell’abitazione della designer e del marito, Stephen Fitz-Simon. Innamorate di quel vestito, semplicemente perfetto per lo stile anni Sessanta, le clienti si affollano in attesa di un nuovo arrivo dello stesso modello. La prima rivoluzione Biba avviene quindi grazie allo stile della sua fondatrice: la lungimiranza della Hulanicki fece sì che un modello visto in tv il venerdì sera era già disponibile da Biba il sabato mattina. Una moda fruibile e a portata di mano, che andava a rivoluzionare il concetto elitario di stile, fino a quel momento vigente.

La donna di Biba è una donna bambola, dalle lunghe gambe sottili e gli occhi rotondi e dalle lunghe ciglia. D’altronde la donna dell’epoca è appena uscita dalla guerra, è spesso denutrita ma non meno affascinante agli occhi di una designer quale è Barbara Hulanicki. Perfetta testimonial del brand sarà Twiggy, che diventerà nel decennio successivo il volto di Biba. La clientela del negozio comprende teenager e ragazze poco più che ventenni, tra cui spicca una giovanissima Anna Wintour, futura direttrice di Vogue America.

Lo stile di Biba è cupo, quasi funereo, secondo le parole della stessa Barbara Hulanicki: i colori sono scuri, dai contrasti forti. Capo principe è la minigonna, ogni settimana più corta, ad indicare il nuovo trend. Niente è lasciato al caso: il negozio è arredato come un piccolo bazar delle meraviglie, dall’atmosfera particolare ed accattivante. Persino il logo viene studiato dalla Hulanicki, sapiente esperta di marketing, per attrarre: oro e nero si mixano mirabilmente nel progetto di Anthony Little.

Outfit optical di Biba, foto di Ron Falloon, 1965
Foto di Ron Falloon, 1965
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Madeleine Smith nel primo catalogo Biba, foto di Donald Silberstein
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Le clienti di Biba: principalmente adolescenti e ventenni
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La donna Biba ricorda una bambola dalle lunghe gambe

Catalogo Biba, modella Stephanie Farrow, foto di Hans Feurer
Catalogo Biba, modella Stephanie Farrow, foto di Hans Feurer


Il secondo negozio di Biba apre nel 1965 al numero 19-21 di Kensington Church Street ed è seguito dalla creazione di cataloghi che permettono di ordinare i capi anche senza dover necessariamente recarsi a Londra. Possiamo definire Biba antesignana dello shopping via posta. Il successivo trasloco avviene nel 1969: Biba si sposta a Kensington High Street, in uno spazio precedentemente adibito alla vendita di tappeti. Lo store è già un piccolo capolavoro stilistico: un mix di Art Nouveau e di decadentismo Rock & Roll, con suggestioni glam e un tocco orientale. Biba continua ad ottenere consensi, e non ferma la sua clientela nemmeno un attentato ad opera del gruppo dell’Angry Brigade che si consuma proprio fuori dal negozio, il primo maggio 1971.

Nel 1974 Biba si sposta nuovamente all’interno del department store di Derry & Toms. La nuova sede diviene in breve tempo meta turistica di richiamo mondiale e tappa obbligata per chiunque visiti Londra. Anche questo locale si distingue per lo stile, con un interior design ispirato all’Art Deco che ricorda molto la Golden Age di Hollywood. Biba si estende ora su una superficie immensa e comprende il Biba Food Hall, con omaggi a Warhol, e il Rainbow Restaurant.

Il volto di Biba Ingrid Boulting fotografata da David Bailey, 1974
Il volto di Biba Ingrid Boulting fotografata da David Bailey, 1974
Ingrid Boulting in Biba, Vogue dicembre 1969, foto di Barry Lategan
Ingrid Boulting in Biba, Vogue dicembre 1969, foto di Barry Lategan
Ingrid Boulting in Biba, foto di Sarah Moon
Ingrid Boulting in Biba, foto di Sarah Moon
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I negozi Biba sono arredati in Art Nouveau con suggestioni etniche e glam
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Sapore di Oriente negli store Biba

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Come piccoli bazar, i punti vendita Biba ricordano la Hollywood della Golden Age


Tuttavia la gestione dell’impero Biba diviene ogni giorno più difficoltosa per Barbara Hulanicki e il marito, che riescono a malapena a districarsi tra le difficoltà economiche. Alla fine il marchio viene acquistato per il 75% da Dorothy Perkins e Dennis Day. Nasce in questo contesto Biba Ltd, compagnia che unisce i vecchi e i nuovi proprietari. Ma la Hulanicki non è soddisfatta della gestione del brand e lascia la compagnia poco dopo. Ciò determina la chiusura di Biba, nel 1975. Il marchio viene poi acquistato da un consorzio che non ha alcun legame con la designer: viene aperto un nuovo negozio a Londra, a Mayfair, il 27 novembre 1978. Ma il successo stenta ad arrivare e lo store chiude dopo soli due anni di attività.

Il primo negozio Biba ad Abingdon Road nei pressi di Kensington High St.
Il primo negozio Biba ad Abingdon Road nei pressi di Kensington High St.
Donna Mitchell e Ingemari Johanson per BIBA, foto di Helmut Newton
Donna Mitchell e Ingemari Johanson per BIBA, foto di Helmut Newton
Negozio Biba in Kensington Street
Negozio Biba in Kensington Street
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Il celebre logo di Biba
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Scatto all’interno di Biba
La fondatrice di Biba Barbara Hulanicki col marito nella loro casa, 1975
La fondatrice di Biba Barbara Hulanicki col marito nella loro casa, 1975

Twiggy per Biba
Twiggy per Biba


Numerosi sono stati i tentativi di riportare in auge lo storico brand, a partire da quello ad opera di Monica Zipper, nella metà degli anni Novanta, fino all’ultimo, nel 2006, ad opera della designer Bella Freud. Tutti tentativi che nulla avevano a che fare con la Hulanicki, spesso all’oscuro di tutto. La prima collezione della Freud sfila nell’ambito della London Fashion Week per la stagione P/E 2007 ma viene aspramente criticata perché, secondo gli addetti ai lavori, di Biba c’è ben poco. Allontanandosi dallo stile originario del brand, che proponeva una moda democratica, la collezione disegnata dalla Freud sembra indirizzata ad un pubblico molto elitario. Biba -così come la conoscevano ed apprezzavano milioni di ragazze- sembra non esistere più e ciò porta ad un nuovo insuccesso: la Freud lascia la compagnia dopo appena due stagioni.

Foto di Brian Duffy, 1973
Foto di Brian Duffy, 1973
Foto di Sarah Moon, 1971
Foto di Sarah Moon, 1971
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Le boutique Biba erano vere e proprie fucine artistiche
Twiggy nella Rainbow Room da Biba, foto di Justin de Villeneuve
Twiggy nella Rainbow Room da Biba, foto di Justin de Villeneuve

Twiggy in Biba, foto di Justin de Villeneuve, 1972
Twiggy in Biba, foto di Justin de Villeneuve, 1972


Nel 2009 è la volta di House of Fraser, che tenta di rilanciare il brand in grande stile, scegliendo come testimonial la modella britannica Daisy Lowe. Per tutta risposta la Hulanicki nello stesso anno disegna una linea per Topshop, marchio rivale. La designer si dice ancora una volta amareggiata per la politica scelta per il rilancio del suo storico brand, che si allontana nuovamente dal concetto primigenio che auspicava una moda democratica. Ma House of Fraser intuisce il segreto per far funzionare il marchio: Biba non può vivere senza la sua creatrice, forse l’unica nel corso degli anni e delle innumerevoli vicissitudini attraversate dal marchio, ad aver saputo conferirirgli un’identità forte e uno stile intramontabile.

Finalmente nel 2014 la Hulanicki torna a casa, in veste di consulente per House of Fraser. Il successo è clamoroso: ritornano le citazioni anni Sessanta nelle stampe, nelle linee e nella scelta dei tessuti. Cromie optical e suggestioni glam nei maxi dress per la sera. Nei pezzi di arredamento ritorna il mood boho-chic che ricorda da vicino i leggendari store di Biba, arredati come bazar in Art Nouveau. Una favola a lieto fine.

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Un ritratto di Barbara Hulanicki: la designer è nata a Varsavia nel 1936
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Un modello Biba
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La celebre Twiggy è stata il volto di Biba nei primi anni Settanta
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Ancora Twiggy per Biba
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Mood decadente per Twiggy testimonial Biba
Foto di Helmut Newton, 1968
Foto di Helmut Newton, 1968

Lauren Bacall: fascino senza tempo

Nasceva oggi, 16 settembre, l’attrice più affascinante ed iconica degli anni Quaranta: Lauren Bacall. Sguardo magnetico e algido, sex appeal da vendere, Lauren Bacall ha incarnato la bellezza dei Forties.

Modella e attrice, all’anagrafe Betty Jane Perske, la diva nacque a New York il 16 settembre del 1924 da padre polacco e madre romena, immigrati negli Stati Uniti. Abbandonata dal padre, la piccola cresce solo con la madre, che le dà il proprio cognome, Bacal, che diviene Bacall nel tentativo di anglicizzarlo. La bella Betty Jane coltiva ambizioni artistiche e fin da piccola sogna di fare la ballerina.

La sua carriera artistica inizia come fotomodella: scoperta dalla mitica Diana Vreeland, ottiene la copertina di marzo 1943 di Harper’s Bazaar, il magazine più famoso e prestigioso, di cui la Vreeland è fashion editor.

foto di John Kobal
Lauren Bacall fotografata da John Kobal
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Lauren Bacall, all’anagrafe Betty Jane Perske, nacque da genitori immigrati negli Stati Uniti
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Capelli ad onde e sguardo obliquo, la Bacall ha incarnato la bellezza tipica degli anni Quaranta

Lauren Bacall in uno scatto del 1944
Lauren Bacall in uno scatto del 1944


Soprannominata “The Look”, “lo sguardo”, per quei suoi occhi così magnetici e taglienti, Lauren Bacall ha incarnato la bellezza e lo stile degli anni Quaranta: i capelli ad onde, il rossetto rosso lacca, il look austero eppure sexy. La Vreeland disse di lei: “È perfetta come nessun’altra”. Un primo piano della modella cattura l’attenzione del regista Howard Hawks. Fu così che, appena diciannovenne, la bella Betty Jane si ritrovò sul set, alla sua prima esperienza cinematografica.

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Scoperta da Diana Vreeland, Lauren Bacall ha iniziato a lavorare come fotomodella
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Ad appena diciannove anni conobbe sul set il suo compagno di vita Humphrey Bogart
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Icona e diva di Hollywood, Lauren Bacall si è spenta nel 2014

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La diva nacque a New York il 16 settembre 1924


Il suo primo ruolo è da protagonista, nel film “Acque del Sud”, accanto ad uno dei più grandi divi di Hollywood, Humphrey Bogart. Tra i due sul set nasce un’attrazione fortissima, nonostante i venticinque anni di differenza che li separano. I due divi convolano a nozze nel 1944 e dalla loro unione nascono due figli, Stephen e Leslie. L’unico amore della sua vita fu proprio Bogart, sebbene dopo la sua scomparsa la diva ebbe una relazione con Frank Sinatra e un secondo matrimonio.

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Lauren Bacall fu attrice e modella
Harper's Bazaar, Marzo 1943
Harper’s Bazaar, Marzo 1943
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Uno scatto che cattura la bellezza dell’attrice
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Sigaretta in bocca e bellezza misteriosa

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Lauren Bacall e Humphrey Bogart, compagni sul set e nella vita


Un grande amore per la moda, Lauren Bacall fu una vera icona. Avanti rispetto ai tempi, la sua figura slanciata ben si addiceva ai capi di Yves Saint Laurent, che l’attrice adorava, insieme ad Emanuel Ungaro, Pierre Cardin e Christian Dior.


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Corso Como 10: è bufera

È il punto di riferimento più chic della nuova Milano da bere, meta obbligata di ogni fashion victim che si rispetti e spazio espositivo e polifunzionale di grande appeal: Corso Como 10, il primo e il più rinomato concept store d’Italia, rischia ora il fallimento.

Lo spazio espositivo multibrand fondato nel 1991 da Carla Sozzani, gallerista sorella della celebre direttrice di Vogue Italia Franca Sozzani, è al centro di un contenzioso legale con Equitalia, che ne ha chiesto il fallimento con un’istanza presentata presso il Tribunale di Milano.

Collocato all’interno di una romantica casa di ringhiera, nella zona con maggior fermento culturale, il quartiere Isola; un’atmosfera vagamente retrò, nei tavolini all’aperto, in mezzo al verde; dentro, una full immersion nella moda- con i nomi più gettonati del fashion biz.

Carla Sozzani, la fondatrice di 10 Corso Como
Carla Sozzani, la fondatrice di 10 Corso Como
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Il primo concept store d’Italia, 10 Corso Como, è stato fondato nel 1991
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Spazio espositivo multibrand dal grande impatto visivo e dal design accattivante, 10 Corso Como è da anni punto di riferimento modaiolo di Milano
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Situato nell’omonimo indirizzo, all’interno di una casa di ringhiera, Corso Como 10 è meta turistica privilegiata per appassionati di moda

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La società cui fa riferimento il concept store sarebbe in fallimento a causa di un debito con Equitalia di oltre 4 milioni e mezzo di euro


Mirabile location che ha ospitato le mostre dei fotografi più famosi -da Annie Leibovitz a Helmut Newton10 Corso Como si è contraddistinto in questi anni per il respiro internazionale dei suoi clienti: numerosissimi, anche stranieri, un pubblico di visitatori così entusiasta da decretare in breve tempo il successo internazionale del concept store; tanti i pezzi in esposizione, da abbigliamento e accessori a libri e pezzi d’arredamento per veri gourmet. Reduce dal successo ottenuto a Milano, la società cui fa riferimento lo spazio espositivo ha aperto nuove sedi a Seoul, Shanghai e Pechino.

Ma adesso Corso Como 10 rischia il fallimento: la società in questione, la Dieci Srl, è infatti in procedimento fallimentare. Il buco in bilancio sarebbe enorme: secondo Equitalia il debito ammonterebbe infatti ad oltre quattro milioni e mezzo di euro. Si tratterebbe, per la precisione, di 4,67 milioni di euro di tasse non pagate, di cui 4 milioni di soli debiti scaduti e il resto divisi tra contributi e sanzioni legate ai mancati pagamenti.

La Dieci Srl, dal canto suo, smentisce tutto, definendo la richiesta di fallimento presentata da Equitalia come il “frutto di un equivoco”. Ennesima vittima della crisi, la società -di proprietà della Carla Sozzani Editore Srl– avrebbe chiuso gli ultimi due bilanci in rosso e i debiti sarebbero aumentati a causa di un fatturato non più all’altezza dei primi risultati. Ma secondo i legali dell’azienda, la fine dei lavori in zona Porta Nuova avrebbe causato un nuovo introito nelle vendite, proprio negli ultimi mesi, e ciò indicherebbe una ripresa. Inoltre pare che la società abbia chiesto e ottenuto una rateizzazione ma senza poi rispettarne i termini.

Jacqueline de Ribes: l’ultima regina di Parigi

Ci sono donne che nascono con’aura particolare e che per un particolare mix di bellezza, eleganza e circostanze divengono indimenticabili icone. La viscontessa Jacqueline de Ribes ha incarnato per decenni la quintessenza del glamour parigino.

Socialite della Parigi più chic, filantropa, produttrice e designer di successo, è stata musa di stilisti del calibro di Yves Saint Laurent, Valentino e Guy Laroche.

Un fascino esotico, zigomi pronunciati e lunghissimi capelli d’ebano spesso legati in acconciature di stampo etnico, il profilo severo, il taglio orientale degli occhi, sapientemente rimarcato con un filo di eyeliner: Jaqueline de Ribes è un’icona di stile tra le più famose al mondo.

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Jacqueline de Ribes circondata dalle sue creazioni
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La contessa Jacqueline de Ribes è nata a Parigi il 14 luglio 1929
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Jacqueline de Ribes indossa un suo abito da sera in uno scatto del 1986
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La contessa ritratta da David Lees per LIFE Magazine, 1985

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Fotografata da Horst P. Horst, 1953


Aristocratica da generazioni, presenza fissa dell’International Best Dressed List a partire dal 1962, la contessa Jacqueline Bonnin de La Bonninière de Beaumont nasce a Parigi in una data emblematica per la Francia: il 14 luglio del 1929. “Ero già una piccola rivoluzionaria”– ironizzerà lei stessa a questo proposito. Figlia di Jean, conte Bonnin de la Bonninière de Beaumont, esponente di spicco dell’aristocrazia francese, e della contessa Paule de Rivaud de La Raffinière, traduttrice di Ernest Hemingway, Jacqueline cresce nella Francia più ricca e glamour.

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Una giovane Jacqueline, 1959
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La contessa in Yves Saint Laurent in una foto di Mark Shaw, 1959
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Jacqueline de Ribes è un’icona di stile, socialite, fashion designer, businesswoman e produttrice

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La contessa indossa una sua creazione, foto di Victor Skrebneski, 1983


La giovane -lunghe gambe e portamento altero- coltiva il sogno di diventare una ballerina, ma la sua infanzia è caratterizzata da una profonda solitudine: la freddezza che i suoi genitori le dimostrano fa sì che la piccola si affezioni moltissimo al nonno. Amante della bella vita, il nonno non lesina in spese folli e vive tra yacht di lusso, automobili sportive e belle donne. La giovane è già una sognatrice, come dichiarerà lei stessa più avanti. Ma alla morte del nonno, la piccola Jacqueline, che non ha ancora 10 anni, avverte un vuoto affettivo talmente forte che lo scoppio della guerra la lascia quasi indifferente. Durante l’occupazione viene mandata ad Hendaye, sui Pirenei, insieme alla sua nanny scozzese. Poco lontano da qui, quando la ragazza ha da poco compiuto diciotto anni, avviene l’incontro della sua vita: durante un party a Saint-Jean-de-Luz la giovane nota un ragazzo bruno in tenuta da tennis. È il visconte Édouard de Ribes, eroe di guerra appartenente alla Legion d’Onore, all’epoca 24enne. “Vidi questa gazzella e me ne innamorai all’istante”, dirà di lei.

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Jacqueline de Ribes in un abito Dior e copricapo di Raymundo de Larrain per il Bal de Têtes di Alexis de Redé, 1957
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Jacqueline de Ribes al Ballo orientale, 1969
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Ancora modella per se stessa, foto di Victor Skrebneski, 1983
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In un abito da sera delle sue collezioni, foto di Victor Skrebneski, 1983

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In Christian Dior nella sua casa di Parigi, foto di Mark Shaw, 1959


I visconti appartengono all’élite di Parigi: sono i tempi dell’haute couture e dei balli di lusso e la splendida Jacqueline risplende dall’alto del suo stile. Soprannominata “la De Gaulle della moda”, nella Parigi del Folies Bèrgere Jacqueline de Ribes diviene un’icona ammirata e dallo stile imitatissimo. “Elegante fino a farti distrarre”, dirà di lei Oleg Cassini, l’altera eleganza si unisce in lei ad una forte carnalità: il mix ideale in ogni donna, si potrebbe dire. Iniziata alla moda durante un ballo a Venezia, a cui la giovane si presenta con un abito da sera creato da lei, durante un viaggio a New York la sua bellezza esotica conquista la più grande talent scout dell’epoca, Mrs. Diana Vreeland, che la fa immortalare da Richard Avedon.

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Ritratta da Slim Aarons nella sua casa a Ibiza, 1978
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A Cervinia, foto di Victor Skrebneski, anni Cinquanta
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Jacqueline de Ribes col logo della sua collezione

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Ritratta da Martine Franck, 1989


Dal 1956 il suo stile raffinato e barocco entra a far parte dell’International Best Dressed List, ideata nel 1940 da Eleanor Lambert e, a partire dal 1962, Jacqueline divenne presenza fissa nella Hall of Fame. Nel 1983 venne nominata “la donna più elegante del mondo” da Town and Country. Intima amica di Oleg Cassini, era la “giraffina” prediletta da Emilio Pucci, mentre Valentino Garavani la soprannominò “L’ultima regina di Parigi”.

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Tratti orientali e bellezza esotica, Jacqueline de Ribes fu musa di Yves Saint Laurent, Valentino e Guy Laroche
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La viscontessa ritratta con Raymund de Larrain, 1961
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Jacqueline de Ribes e Raymundo de Larrain ritratti da Richard Avedon, 1961
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Jacqueline de Ribes ritratta da Pierluigi Praturlon per Vogue, 1969
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Il fascino esotico di Jacqueline de Ribes immortalato da Richard Avedon, 1955

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Ancora per Richard Avedon, 1955


Al compimento dei 53 anni, nel 1982, la viscontessa organizzò un meeting familiare per annunciare a suo marito e ai loro figli la sua improrogabile decisione di iniziare una carriera come fashion designer. Caparbia e temeraria, Jacqueline dichiarò fermamente che niente e nessuno avrebbe mai potuto farle cambiare idea. Gli stessi Yves Saint Laurent e Pierre Bergé, suoi confidenti, si dichiararono fortemente preoccupati per la sua scelta: erano tanti gli ostacoli che la contessa doveva superare, in primis il suo stesso status sociale, che poteva suscitare facilmente pregiudizi nel pubblico.

La sua prima collezione sfilò nella regale location di casa sua nell’ambito della Fashion week di Parigi del 1983. Una linea sontuosa -pur trattandosi di prêt-à-porter– che si rivelò subito un grande successo: negli Stati Uniti Saks Fifth Avenue le offrì un contratto di tre anni. Nel 1984 la contessa creò anche una linea di gioielli. Jacqueline continuò a disegnare le sue collezioni fino al 1995. Tra le sue clienti più affezionate troviamo Joan Collins, Raquel Welch, Barbara Walters, Cher, Danielle Steel, la baronessa von Thyssen e Olympia de Rothschild.

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La viscontessa de Ribes in uno scatto di Richard Avedon, 1955
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Jacqueline de Ribes ritratta da Pierluigi Praturlon per Vogue, 1969
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Un altro scatto di Pierluigi Praturlon per Vogue, 1969
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Uno scatto del 1966

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Ritratta da Bill King, anni Ottanta


Le sue creazioni ottennero i favori del pubblico e della stampa: l’International Herald Tribune e il Women’s Wear Daily scrissero recensioni entusiastiche sulle sue collezioni. La contessa fu costretta da problemi di salute a chiudere la sua linea di abbigliamento nel 1995. Nel 1999 Jean-Paul Gaultier le dedicò una sua collezione. Insignita nel 2010 del prestigioso titolo di Cavaliere della Legion d’Onore, Jacqueline de Ribes non è stata soltanto un’icona di stile: produttrice teatrale, televisiva e cinematografica, ha finanziato alcune delle attività culturali più importanti del teatro e della televisione francesi, dalla metà degli anni Cinquanta. Inoltre è stata ecologista, filantropa, mercenario per diversi musei ed istituzioni nonché accanita sostenitrice di cause umanitarie. Nel 1980 ha vinto il Women of Achievement Award.

La bellezza e l’intramontabile eleganza di Jacqueline de Ribes saranno celebrate con una mostra organizzata presso il Metropolitan Museum of Art di New York in cui saranno esposti 60 pezzi, tra haute couture e ready-to-wear — da Giorgio Armani a Pierre Balmain, Bill Blass, Marc Bohan per Dior, Roberto Cavalli, John Galliano, Madame Grès, Valentino Garavani e creazioni della linea della viscontessa —dal 1959 fino ai giorni nostri. “Jacqueline de Ribes: The Art of Style” sarà esposta all’Anna Wintour Costume Center del MET dal 19 Novembre 2015 fino al 21 Febbraio 2016. Per veri gourmet dello stile.


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Eleanor Lambert: una vita per la moda

Eleanor Lambert: una vita per la moda

Fashionista ante litteram, un senso innato per lo stile e la capacità di captare il gusto nel raggio di un miglio. Eleanor Lambert è stata una vera maestra nello stile e nel fashion biz: PR ante litteram, è stata anche colei che ha inventato la più famosa lista delle “meglio vestite al mondo”.

Lo sguardo della ragazza che, eterea e giovanissima, posa per Cecil Beaton, tradisce una smisurata ambizione. Già all’epoca, quando Eleanor è ancora una perfetta sconosciuta nel mondo della moda, le si legge negli occhi la voglia di arrivare. Genio pubblicitario che rese New York la capitale del fashion e creatrice della prima fashion week della Grande Mela, la vita di Eleanor Lambert è stata la parabola di una visionaria che ha osato là dove nessuno aveva il coraggio di osare ed ha vinto.

Originaria dell’Indiana, nata a Crawfordsville il 10 agosto del 1903, Eleanor Lambert frequenta corsi di scultura al John Herron Art Institute di Indianapolis e nel frattempo scrive di shopping per l’Indianapolis Star. Qui conosce lo studente di architettura Willis Connor, con cui intraprende un rapporto sentimentale. La giovane Eleanor, desiderosa di evadere da quella realtà per lei troppo angusta, dichiarerà più avanti che quella relazione fu per lei come “un biglietto di sola andata per uscire da quella città” . Insieme la coppia si iscrive all’Art Institute di Chicago, dove la giovane Eleanor studia moda. Messo da parte un discreto gruzzolo, la coppia si trasferisce a New York. Connor non possiede assolutamente i requisiti necessari per essere la persona giusta per Eleanor, determinata ad eccellere in qualsiasi campo e intenzionata persino ad inventarsi ex novo una nuova professione pur di affermarsi lavorativamente.

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Eleanor Lambert nacque a Crawfordsville, Indiana, il 10 agosto 1903

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PR ante litteram, la Lambert ideò nel 1940 la famosa International Best Dressed List


La giovane si stabilisce quindi ad Astoria, nel Queens, e si mantiene con due lavoretti part-time, rispettivamente all’interno della redazione di un notiziario di moda, il Breath of the Avenue, e come designer di copertine di libri per una casa editrice. Qui il suo capo nota immediatamente il talento della ragazza, come anche il sagace sensazionalismo che la giovane Eleanor riesce ad adoperare a suo piacimento, ottenendo discreti successi. L’uomo le consiglia quindi di mettersi in proprio e di aprire una sua attività. Eleanor è ancora poco più che una ragazzina e la vita non è sempre facile per lei. Un episodio in particolare, divenuto assai famoso, vede Eleanor fare un brutto incontro: una notte si imbatte in un gruppo di scrittori ubriachi, tra cui la celebre Dorothy Parker, che la portano a sua insaputa nello studio di un tatuatore. Fu così che la giovane si ritrovò tatuata una piccola stella blu sulla caviglia.

Il padre intanto vuole riportarla a casa a tutti i costi, convinto che New York non sia il luogo adatto ad una giovane donna sola. Ma Eleanor resiste. Dopo aver avviato un’agenzia di pubblicità a Manhattan occupandosi principalmente di gallerie d’arte, a metà degli anni Trenta diviene uno dei primi uffici stampa per il Whitney Museum of American Art. Numerosi sono gli artisti da lei rappresentati, tra i quali spiccano Isamu Noguchi, Jacob Epstein e Jackson Pollock. Dopo essere convolata a nozze con Seymour Berkson abbandona la sua brillante carriera di PR per passare alla moda. Risale al 1932 il suo primo lavoro per la designer Annette Simpson: impressionata dalla copertura mediatica che la Lambert aveva garantito agli artisti da lei rappresentati, la designer la assunse. Tuttavia, come più tardi dichiarato da lei stessa, la Lambert non venne mai retribuita per quella sua prima prestazione lavorativa nel settore moda.

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Un ritratto di Eleanor Lambert
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Gloria Guinness, definita dalla Lambert “la donna più elegante al mondo”

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Eleanor Lambert ritratta da Cecil Beaton negli anni Trenta


Eleanor fu pioniera nel considerare la moda alla stregua di una forma d’arte tra le più nobili: cominciò ben presto a chiedersi perché non pubblicizzare anche la moda americana, proprio come aveva fatto con l’arte. Si confida quindi con l’amica Diana Vreeland, celebre fashion editor di Harper’s Bazaar. Ma nemmeno la Vreeland -che pure fu visionaria scopritrice di immensi talenti- crede in lei, reputando le sue idee troppo naïf. Ma la Lambert persiste e nel 1940 cambia il corso della moda, creando la sua celebre International Best Dressed List. È una rivoluzione epocale: per la prima volta nella storia venivano dati i voti ai look sfoggiati dalle celebrities del tempo. Come spesso accade nel patinato sistema del fashion biz, improvvisamente tutti sono pazzi di lei; tutti la corteggiano; tutti sgomitano per entrare a far parte della sua Hall of Fame. Nel 1958 invia telegrammi a Babe Paley, Elisabetta II, alla duchessa di Windsor e alla contessa Mona von Bismarck, annunciando loro che erano entrate a far parte della sua Hall of Fame. Apparvero nella sua lista anche la viscontessa Jacqueline de Ribes, Marisa Berenson, Lauren Bacall, Marella Agnelli, Gloria Guinness, Cary Grant e molti altri.

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La Lambert ideò nel lontano 1943 una fashion week newyorchese ante litteram denominata “Press Week”

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Una giovane Eleanor Lambert posa per Cecil Beaton, suo amico e cliente, all’inizio della sua carriera


Nel 1943 la Lambert entra nuovamente nel mito, creando la prima settimana della moda mai conosciuta al mondo e quella che è a tutti gli effetti la New York Fashion Week che noi tutti conosciamo. La prima settimana della moda della Grande Mela viene creata dal New York Dress Institute, di cui la Lambert era PR. Questa era la prima organizzazione promozionale nell’industria della moda americana e la settimana della moda venne inizialmente denominata “Press week”. Creata allo scopo di distogliere l’attenzione dei media americani dalla moda parigina durante la Seconda Guerra Mondiale, la fashion week ideata dalla Lambert vuole promuovere il buon gusto e lo stile made in the USA. Pochissimi erano infatti coloro che potevano viaggiare fino a Parigi in quel periodo, e si temeva che la moda americana potesse restare indietro. La Press Week si rivelò un successo clamoroso. Grazie ad essa, magazine come Vogue iniziarono a parlare dei designer americani. La settimana della moda della Grande Mela a metà degli anni Cinquanta cambiò nome in “Press Week of New York” e solo nel 1993 assunse il nome attuale di “New York Fashion Week”.

Reduce da questi successi di portata storica, la Lambert venne incaricata per ben due volte, nel 1959 e nel 1967, di rappresentare e promuovere la moda americana in Russia, Germania, Italia, Australia, Svizzera, Giappone e Brasile, incarico conferitole direttamente dal governo degli Stati Uniti d’America.

Nel 1965 fu designata al Collegio nazionale delle arti del National Endowment for the Arts e nel 1962 organizzò il Council of Fashion Designers of America (CFDA) e vi rimase come membro onorario fino al 2003. Nel 2001 il CFDA istituì l’Eleanor Lambert Award, assegnato per contributi unici al mondo della moda e/o meriti speciali nel settore. Pochi mesi prima della sua morte, avvenuta il 7 ottobre del 2003, la Lambert aveva affidato a quattro editor di Vanity Fair i diritti della sua lista, la International Best Dressed List, nata di fatto nel 1940. La sua ultima apparizione pubblica fu in grande stile, durante la settimana della moda di NY nel settembre del 2003, pochi giorni prima di morire, all’età di cento anni. Il nipote Moses Berkson dopo la sua morte ha girato un documentario a lei dedicato.


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Babe Paley: luci e ombre di un’icona di stile

Winter Fashion Trends 2016: il mood è Mod

Abitini a trapezio, stampe optical e pellicce maxi: il trend per l’Autunno/Inverno 2015-2016 ci riporta direttamente negli anni Sessanta. I favolosi Swinging Sixties rivivono in una moda fresca, ironica e colorata.

Icone come Veruschka, Twiggy e Jean Shrimpton e nomi come Pierre Cardin e Mary Quant sembrano riprendere vita nelle passerelle della stagione A/I 2015-2016.

Geometrie optical da Emilio Pucci, in cui tute di suggestione spaziale estremamente Sixties si uniscono a cromie black and white per capi di ricercata raffinatezza.

Il mood è Mod, come la più famosa sottocultura che ha caratterizzato il decennio dei Sessanta: siamo in Inghilterra e un gruppo di giovani appartenenti alla working class auspica l’inizio del Modernismo, vestendosi con capi sartoriali e sfidando il sistema a bordo di Vespe e Lambrette decorate con specchietti e monili. Forse l’unico moto di ribellione interamente basato sulla riscoperta di un concetto di eleganza evergreen, i Mods hanno segnato indelebilmente la moda anni Sessanta: dall’uso del parka al successo di brand come Fred Perry, la moda dei nostri giorni è un continuo omaggio -spesso inconsapevole- a questa subcultura mai dimenticata.

Declinato anche nel suo lato più audace, ispirato a nomi che hanno fatto la storia della moda, come Pierre Cardin e André Courrèges, il trend anni Sessanta propone anche delicati cappottini a trapezio, resi grintosi dalla pelle metalizzata e dai colori fluo, come visto in sfilata da Miu Miu.

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Veruschka indossa una tuta Valentino, foto di Franco Rubartelli per Vogue America, 1 aprile 1969, Roma, piazza San Giorgio al Velabro
Emilio Pucci
Emilio Pucci
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Le stampe optical furono uno dei maggiori trend degli anni Sessanta
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I Mods, principale subcultura anni Sessanta
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Giochi optical e cromie audaci per un modello di shift dress, tipicamente anni Sessanta
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Abitini a trapezio, un cult dei Sixties

Miu Miu
Miu Miu


Largo a proporzioni oversize, con pellicce colorate o in bicromia bianco e nero, come proposto da Cristiano Burani ed ancora Pucci, in una collezione-tributo agli anni Sessanta. Elogio della minigonna, citazioni Sixties come nel casco stile equitazione.

Un mood irresistibile per un inverno da vivere all’insegna dello stile di quegli anni: via libera a materiali high-tech che ricordano le suggestioni spaziali proposte in quel periodo ancora da Courrèges e Cardin ma anche da Paco Rabanne.

Materiali come la pelle metalizzata o la vernice si impongono per questa stagione, come anche le righe e le stampe optical e gli ankle boots alternati ai cuissardes, veri must-have A/I.

Cristiano Burani
Cristiano Burani
Jean Shrimpton forografata da David Bailey, 1964
Jean Shrimpton forografata da David Bailey, 1964
Twiggy
Twiggy
Ancora Pucci
Emilio Pucci

Audrey Hepburn in Courrèges, Parigi, 1965, foto di Douglas Kirkland
Audrey Hepburn in Courrèges, Parigi, 1965, foto di Douglas Kirkland


Come un cubo di Rubik, la collezione Au jour le jour interpreta mirabilmente la spensieratezza di quell’epoca. Suggestioni tratte dal Cubismo si mixano al minimalismo proposto invece da Carven, in una collezione che deve molto all’Inghilterra dei Sixties. La sensualità di audaci minigonne viene stemperata dal rigore dei capispalla e dei dolcevita. Massimo Rebecchi propone numerosi shift dresses, i mitici abitini a trapezio, simbolo dei Sessanta, in tweed di lana e decorazioni su un gioco di cromie ton sur ton.

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Au jour le jour
Carven
Carven
Massimo Rebecchi
Massimo Rebecchi
Pierre Cardin
Pierre Cardin
Raquel Welch in Pierre Cardin
Raquel Welch in Pierre Cardin
Le suggestioni spaziali di Pierre Cardin
Le suggestioni spaziali di Pierre Cardin

Pierre Cardin, collezione del 1967, foto di Giancarlo Botti
Pierre Cardin, collezione del 1967, foto di Giancarlo Botti


Sfacciato l’omaggio ai Sixties visto da Moncler Gamme Rouge: ritorna l’abito a trapezio, unito ad elementi da space oddity, come le cappe che ricordano il mood spaziale proposto da Pierre Cardin nella metà degli anni Sessanta. Tweed di lana per contrastare il rigore invernale ma grande ironia ed eleganza d’altri tempi per una collezione da dieci e lode.

Grintosa la donna proposta da Louis Vuitton, in minigonna e giacca con inserti in montone e decorazioni optical: una vera Modette. Più dolci le note proposte da Prada, che rivisita i Sixties inserendo uno stile più bon ton, tra fiocchi e decorazioni gioiello. L’abitino a trapezio, declinato in colori fluo, diviene quasi un abito da sera, e i lunghissimi guanti completano il look.

Ancora Mod style visto da Giambattista Valli, in una collezione che rende omaggio anche ai Settanta. Ma le pellicce profilate di decorazioni optical e le vivaci cromie dei co-ords ci riportano inequivocabilmente nel decennio precedente. Deliziosi i fur coat proposti da Philosophy by Lorenzo Serafini: una nuvola di azzurro baby per un tocco di romanticismo. Ancora vintage le ispirazioni alla base di Tommy Hilfiger, con cappe a trapezio e capispalla importanti.

Aggressiva la donna di Christian Dior, una valchiria in cuissardes metallizzati e cappottini caratterizzati da audaci giochi optical. DAKS gioca sui colori per un mood che resta sostanzialmente invariato: un ritorno ai favolosi anni Sessanta.

Moncler Gamme Rouge
Moncler Gamme Rouge
Louis Vuitton
Louis Vuitton
Philosophy by Lorenzo Serafini
Philosophy by Lorenzo Serafini
Prada
Prada
Giambattista Valli
Giambattista Valli
Un'latra uscita della sfilata di Giambattista Valli
Un’latra uscita della sfilata di Giambattista Valli
Tommy Hilfiger
Tommy Hilfiger
DAKS
DAKS
Christian Dior
Christian Dior

André Courrèges, Ensemble, foto di Peter Knapp, 1965
André Courrèges, Ensemble, foto di Peter Knapp, 1965



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Babe Paley: luci e ombre di un’icona di stile

Il suo volto è impresso nella memoria di intere generazioni. Il suo stile ha rappresentato per tutto il Novecento la somma eleganza. Una vita vissuta tra copertine patinate e abiti extralusso: ma di Babe Paley, a distanza di un secolo dalla sua nascita e di quasi quarant’anni dalla sua scomparsa, non resta solo questo. La parabola di una donna che ha modellato tutta la sua esistenza all’insegna dell’eleganza e della bellezza, scontando sulla propria pelle le conseguenze delle proprie scelte.

Barbara Cushing detta Babe nasce a Boston, in Massachusetts, il 5 luglio 1915. Figlia di un rinomato neurologo, cresce in un ambiente raffinato. Babe fa il suo debutto in società nel 1934, durante la grande depressione. Inizia così per la giovane, dotata di grande fascino, una clamorosa scalata sociale. Le sue due sorelle sposano uomini molto facoltosi, tra cui il figlio del presidente Roosevelt, ma per Babe, socialite ante litteram dalla bellezza altera, si prospetta una vita ancora più brillante.

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Babe Paley ritratta da Richard Avedon
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Babe Paley in abito Paquin e gioielli Van Cleef & Arpels, foto di John Rawlings, Vogue 15 novembre 1946

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Foto di Erwin Blumenfeld, 1947


Nel 1938 Babe inizia a lavorare come fashion editor per la Bibbia della moda: Vogue America. Qui conosce l’ereditiere Stanley Grifton Mortimer Jr., con cui convola a nozze nel 1940. Ma è il 1941 l’anno in cui Babe Paley entra nel mito: viene assunta dal Times nell’olimpo dell’eleganza, seconda solo a Wallis Simpson. Nel 1945 e nel 1946 viene invece collocata al primo posto della classifica delle Best Dressed Women, divenendo a tutti gli effetti un modello di eleganza.

Grazie al suo lavoro per Vogue, Babe è corteggiatissima dai designer dei brand più lussuosi, che spesso le prestano le loro ultime creazioni, data la visibilità di cui gode la fashion editor. Impeccabile in ogni occasione, Babe predilige Chanel, Balenciaga, Givenchy, Valentino, Charles James e i gioielli di Fulco di Verdura e Jean Schlumberger.

Viso lungo e sottile, collo da cigno e classe senza precedenti fanno di lei una vera icona. Un’immagine che incanta, nessun dettaglio lasciato al caso, ogni outfit è un successo per Babe. “Aveva un solo difetto: era perfetta”-dirà di lei Truman Capote, che la incluse tra i cosiddetti “cigni” dell’alta società, insieme a Gloria Guinness, Marella Agnelli e C. Z. Guest. Forse la prima fashion icon nel vero senso del termine, Babe ha un gusto innato nel vestire ed è in grado di mixare i capi in modo fantastico. Tutto ciò che indossa diviene immediatamente oggetto di culto. Capace di abbinare pezzi di haute couture ad accessori economici, Babe diviene una trendsetter ammirata a livello internazionale. Sarà anche la prima donna famosa a dichiarare guerra alle tinture, perfetta anche nel suo tentativo di sdoganare i capelli bianchi come nuovo fashion trend.

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Babe Paley in un abito da sera Charles James fotografata da Serge Balkin, Vogue 15 ottobre 1948
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Foto di John Rawlings, febbraio 1946
Babe Paley in un abito Traina-Norell fotografata da Horst P. Horst per Vogue America febbraio 1946

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Barbara “Babe” Cushing Mortimer Paley nacque a Boston il 5 luglio 1915


I lustrini della vita pubblica di Babe lasciano però il posto a numerose delusioni nella sfera privata. Dopo aver dato alla luce due figli, Amanda Jay Mortimer e Stanley Grafton Mortimer III, Babe decide di separarsi dal marito. Tante sono le indiscrezioni che svelano un rapporto praticamente inesistente tra i due, e tante sono le voci che dipingono Babe come un’avida arrampicatrice sociale, totalmente dipendente dal marito dal punto di vista economico e troppo a suo agio in un certo stile di vita per non proseguire la sua ricerca di un secondo buon partito che potesse garantirle quegli stessi standard.

La ricerca durò poco: nel 1946, appena dopo la separazione da Mortimer, Babe incontra William S. Paley, fondatore della CBS. Segni particolari: milionario. La donna, esponente di spicco dell’alta società newyorchese grazie anche al suo prestigioso lavoro nel fashion biz, può offrire a Paley l’opportunità concreta di far parte di quella élite da cui finora l’uomo si è sempre sentito escluso. Lui dall’altra parte può offrire a Babe una sicurezza materiale vissuta dalla donna come un’esigenza fondamentale. La coppia convola a nozze nel 1947 e ha due figli, Kate e Bill Jr.

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Babe Paley fu una socialite ed icona di stile tra le più imitate
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Babe Paley al St. Regis in abito Givenchy, 1963
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Ammirata per il suo stile, Babe Paley fu a lungo inclusa nella International Best Dressed List
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Babe Paley in Givenchy, 1963
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Modella per Horst P. Horst, 1939

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Sul set di Erwin Blumenfeld per Vogue America, 15 settembre 1946


Babe e il nuovo marito Bill Paley formano una coppia semplicemente perfetta: mondani, eleganti e pieni di charme, i due non si perdono un evento e si fanno fotografare nelle occasioni ufficiali più disparate, raccogliendo favori per il loro stile. Inoltre acquistano un sontuoso appartamento all’Hotel St. Regis e affidano il compito di arredarlo secondo il loro gusto al famoso interior designer Billy Baldwin. Contemporaneamente la coppia acquista una tenuta principesca a Long Island: Kiluna Farm si estende per una superficie immensa e comprende un giardino curato dai più famosi architetti paesaggisti. Una sorta di Eden di lusso, il ritiro più lontano –Kiluna Nord, nel New Hampshire– divenne meta del jet-set internazionale, ospitato dalla coppia, nonché location per film di fama mondiale come “Sul lago dorato”, del 1981.

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Babe Paley nel 1963
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New York City, 1955
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Babe Paley ritratta da Richard Avedon, 1960
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Babe Paley ritratta da Clifford Coffin per Vogue UK, dicembre 1946
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Babe Paley all’Hotel St. Regis, foto di Lord Snowden, 1958

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Babe Paley col marito William Paley nel loro cottage in Giamaica, foto di Slim Aarons, 1959


Tuttavia anche il secondo matrimonio si rivela infelice e le numerose relazioni extraconiugali di Paley gettano Babe nell’occhio del ciclone mediatico: lei, che della perfezione aveva fatto uno stile di vita, si vede ora pubblicamente tradita ed umiliata. Costretta a mantenere il suo status di icona della moda, Babe si ritrova a vivere una vita che non è quella che desiderava. Lontana da quel paradiso di cartone mirabilmente documentato dalle foto di Slim Aarons, che la immortala spesso a bordo piscina intenta a sorseggiare drink, confinata nella torre d’avorio che lei stessa si è costruita, Babe accumula forti tensioni che la spingono a fumare due pacchetti di sigarette al giorno. Presto arriva la diagnosi più terribile: nel 1974 le viene diagnosticato un cancro ai polmoni.

Il suo bisogno di controllare tutto -ennesimo tentativo di conferire ordine e bellezza alla realtà circostante- non la abbandona nemmeno negli ultimi giorni, quando Babe pianifica con sconcertante lucidità ogni particolare del proprio funerale, arrivando a scegliere persino i piatti che sarebbero stati usati per il servizio funebre. Inoltre la fashion editor elabora un codice quasi segreto per stabilire a chi dovesse toccare la sua eredità: numerosissimi i gioielli e gli oggetti personali che amici e parenti dovettero distribuire dopo la sua morte.

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Foto di John Rawlings, 1947
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Babe Paley ritratta da Clifford Coffin per Vogue UK, 1946
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Barbara “Babe” Paley, foto di Horst P. Horst, 1964
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Babe Paley fu la prima donna del fashion biz a rinunciare alle tinture, sdoganando i capelli grigi come fashion trend
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La Paley morì il 6 luglio 1978 per un cancro ai polmoni.

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Babe e Bill Paley in uno scatto del 1965


Babe Paley si spegne il 6 luglio del 1978, il giorno dopo il suo sessantatreesimo compleanno. Ancora oggi la sua figura leggiadra continua ad ispirare generazioni di designer e registi. Ricordata anche nel celebre film “Colazione da Tiffany” come la musa di Truman Capote, la moda rende ancora omaggio a questa donna tanto perfetta quanto infelice.



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Irene Galitzine: la principessa della moda

Nel panorama della moda anni Sessanta una figura unica nel suo genere è stata Irene Galiztine.

Sangue blu nelle vene, Irene nasce nel 1916 a Titflis, nel Caucaso, dalla Principessa Nina Larazeff e da Boris Galitzine, ufficiale della Guardia Imperiale.

Portata a Roma ad appena un anno dalla madre, profuga della Rivoluzione d’Ottobre, viene accolta nella Capitale dai duchi Sforza Cesarini e viene educata come si addice ad una nobildonna: frequenta il famoso Sacro Cuore di Trinità dei Monti, antica e prestigiosa scuola privata dove venivano iscritte le ragazze della Roma bene; successivamente completa la sua formazione studiando Storia dell’arte, sempre a Roma, inglese a Cambridge e francese alla Sorbona.

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Un ritratto della couturière
Principessa Irene Galitzine nella casa di Via Po con uno dei suoi celebri pyjama palazzo, 1962
La principessa Irene Galitzine nella sua abitazione di via Po con uno dei suoi celebri pigiama palazzo, 1962
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Un modello Galitzine, 1962
Ivy Nicholson in Irene Galitzine, foto di Federico Garolla Roma 1953
Ivy Nicholson in Irene Galitzine, foto di Federico Garolla Roma 1953
Veruschka in Irene Galitzine, Vogue UK Luglio 1965
Veruschka in Irene Galitzine, Vogue UK Luglio 1965

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Irene Galitzine 1965 – Foto di Elsa Haertter in Siam – Da Grazia n.1923


La giovane Irene, capelli corvini e charme caucasico, è un’esponente di spicco dell’aristocrazia romana ed internazionale. Nel 1945 inizia la sua carriera nella moda, lavorando come indossatrice presso lo storico atelier delle sorelle Fontana, dove cura anche le public relations.

Dopo essere rimasta affascinata dalla moda pagina, nel 1947 apre la propria sartoria, in via Veneto. La principessa veste Balenciaga, Dior, Fath e per il suo atelier compra i modelli direttamente da Parigi.

La sua prima collezione è del 1958 ed è firmata a quattro mani, con il supporto del genio di Federico Forquet: mannequin d’eccezione è la contessa Consuelo Crespi, fashion editor di Vogue US. Inizia così il mito di Irene Galitzine. L’anno seguente sfila con la sua collezione di alta moda P/E negli Stati Uniti d’America e un suo abito nero da cocktail vince il primo di una lunga serie di riconoscimenti.

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L’attrice Ida Lupino con una creazione Galitzine
China Machado in Galiztine, foto di Richard Avedon 1965
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Un modello del celebre pigiama palazzo
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Sue Murray in Galiztine fotografata a Roma da David Bailey, Vogue UK Marzo 1965

Abito scultura Irene Galitzine, Harper's Bazaar, Ottobre 1966
Abito scultura Irene Galitzine, Harper’s Bazaar, Ottobre 1966


Ma è nel 1960 che Galitzine entra nella storia della moda, rivoluzionandone i canoni vigenti di eleganza, grazie all’invenzione del pigiama palazzo, che la rende famosa a livello mondiale. Il pigiama palazzo, così denominato da Diana Vreeland, celebre fashion editor di Harper’s Bazaar e Vogue US, è una rivoluzione assoluta: reinterpretando il tradizionale abito da sera, Galitzine abbina ad una blusa dei pantaloni ampi decorati con frange o perline. Il pantalone palazzo, fluido e comodo, segna la nascita di un’eleganza nuova, disinvolta e finalmente senza costrizioni. Il capo simbolo dello stile Irene Galitzine è subito amato dal jet-set internazionale e da Palazzo Pitti il nuovo trend si diffonde oltreoceano, grazie alla Vreeland e alle foto da lei volute, nella prestigiosa location di Palazzo Doria.

Simbolo di un’epoca, la couturière diventa ambasciatrice del Made in Italy con Emilio Pucci. Il suo stile innovativo e femminile, pregno della formazione cosmopolita della designer, miete consensi. La cura nella scelta dei tessuti, unita alle suggestioni etniche delle sue creazioni, rivelano la sua origine russa, mentre l’appeal sofisticato delle sue collezioni svela il suo gusto fortemente influenzato dalla moda francese.

Dopo aver vinto l’Oscar per la moda, Irene crea la linea “Boutique Galitzine- Roma”, in cui sperimenta l’uso di pellicce. Nel 1962 partecipa all’Italian Fashion Show organizzato a Tokyo da Alitalia, in occasione del primo volo della compagnia verso la capitale giapponese. L’anno seguente riceve una missiva da Jacqueline Kennedy, la quale si dice assolutamente entusiasta del suo stile e le chiede dei bozzetti. Invitata alla Casa Bianca, diviene amica sincera della First Lady e con le sue creazioni conquista la sorella di Jackie, Lee Radzwill.

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Irene Galitzine
Modella indossa pigiama palazzo  Galitzine, foto di Marisa Rastellini, Italia, 1962
Modella indossa pigiama palazzo Galitzine, foto di Marisa Rastellini, Italia, 1962
1963
1963
Veruschka in Galitzine, foto di Richard Avedon per Vogue, Settembre 1972
Veruschka in Galitzine, foto di Richard Avedon per Vogue, Settembre 1972

Model Mirelli Pettini is wearing a dress by Irene Galitzine. She was Photographed by David Bailey in Italy.Vogue,April 1965
La modella Mirella Petteni in Irene Galitzine, foto di David Bailey, Vogue Aprile 1965


Protagonista della Dolce Vita romana, Galitzine vola poi alla conquista di Hollywood, dove firma i costumi per film come “La caduta dell’impero romano”, con Sophia Loren, e “La pantera rosa”, con Claudia Cardinale.

Tra le sue clienti più affezionate troviamo Marella Agnelli, Audrey Hepburn, Paola del Belgio, Guy de Rotschild, Soraya, la Duchessa di Windsor, Liz Taylor, Merle Oberon, Anna Maria di Grecia e Ira Fürstenberg.

Successivamente è la volta del lancio di una linea di cosmetici, la “Princess Galitzine”, distribuita a New York da Bergdorf Goodman e Saks, seguita dal profumo Irene. Il lancio delle collezioni prêt-à-porter a Roma vede la partecipazione dell’aristocrazia e del jet-set, con una mannequin d’eccezione come Claudia Ruspoli.

Nel 1974 Irene Galitzine viene mominata Cavaliere della Repubblica Italiana. Nel 1988 viene invitata da Raissa Gorbaciova a sfilare a Mosca. Nel 1990 il marchio viene acquistato, dopo due fallimenti, dalla societa Xines, ma Irene continua a disegnare le proprie collezioni.

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Défilé Irene Galitzine
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Due modelli Galitzine

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Claudia Cardinale veste Galitzine nel film “La pantera rosa”


La celebre designer si spegne a Roma nel 2006, all’età di novant’anni. Nello stesso anno una mostra ne celebra lo stile, mentre i suoi pigiama palazzo fanno parte della collezione permanente di musei come il Metropolitan Museum di New York, il Victoria and Albert Museum di Londra e il Museo del Costume di San Pietroburgo.

Nel gennaio 2013 il marchio è stato affidato a Sergio Zambon, che è riuscito a rilanciare il brand senza snaturarne la personalità, rendendo ancora onore al mitico pigiama palazzo.

“La bellezza di una donna non si esaurisce nei vestiti” è l’insegnamento che la grande couturière ci ha lasciato.


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Winter fashion trends 2016: ritorno al Puritanesimo

Tra le tendenze per l’Autunno/Inverno 2015-2016 troviamo un mood che sembra trarre ispirazione dal passato, da un tempo remoto pregno di credenze religiose e testimonianze artistiche. Un tempo in cui arte e religione si incontrano, dando vita ad emozioni uniche.

Suggestioni che ricordano i dipinti dei pittori fiamminghi del Diciassettesimo secolo si mixano ad uno stile noir, tratto dal Puritanesimo di ispirazione vittoriana: la moda ci impone un ritorno alla sobrietà e l’uso di note dark, ai limiti del gotico.

Le passerelle per la stagione Autunno/inverno 2015-2016 propongono abiti castigati e virginali ornati da candidi colletti bianchi spesso accompagnati da capispalla neri, di imprinting gotico, che costituiranno un vero e proprio must-have.

Il nero si conferma passepartout, che si tratti di lunghi abiti rigorosamente accollati, come quelli proposti da Valentino, o di mantelle portate sopra camicie in seta legate al collo con grandi fiocchi.

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Suggestioni fiamminghe nello Still Life di Josh Olins
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La moda Autunno/Inverno 2015-2016 ci riporta all’età Vittoriana e al Puritanesimo

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Scarlett Johansson nel film “La ragazza con l’orecchio di perla”, ispirato al celebre dipinto di Vermeer


Severità, rigore e la riscoperta di un low profile, gradito evergreen: unici vezzi consentiti sono pizzi e merletti bon ton di fanciullesca memoria. Il candore di Scarlett Johansson nel film “La ragazza con l’orecchino di perla”, ispirato al celebre dipinto di Johannes Vermeer, sembra essere tornato in auge, in tempi in cui un esasperato sex appeal , vissuto quasi come un’esigenza, ha costretto la femminilità ad abbrutirsi.

Largo adesso a donne monacali, dal sottile fascino ambiguo, come nel servizio firmato Giampaolo Sgura per Vogue Giappone di ottobre 2015, con protagonista Caroline Trentini, splendida interprete di scatti pieni di pathos e dal grande impatto scenografico: “Caroline’s Symphony” -questo il titolo dello shooting- propone un mood di netta ispirazione fiamminga, e il mirabile styling curato da Anna Dello Russo completa l’ispirazione. Veli bianchi presi in prestito ai Puritani, coroncine che ricordano le principesse protagoniste dei ritratti del Rinascimento italiano, e ancora una citazione tratta dalla “Dama con l’ermellino” di Leonardo da Vinci. La moda a volte è una tra le più eloquenti forme d’arte, è proprio il caso di ricordarlo.

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Caroline Trentini fotografata da Giampaolo Sgura per Vogue Giappone, ottobre 2015
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Ricorda i dipinti dei pittori fiamminghi del Diciassettesimo secolo, lo shoot firmato Giampaolo Sgura per Vogue Giappone 2015
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Lo styling curato da Anna Dello Russo rievoca i dipinti più famosi, dal Rinascimento in poi
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Valentino

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Emilio Pucci


Valentino è stato iniziatore della tendenza di ispirazione fiamminga, già due anni or sono: continua il mood virginale con lunghi abiti da sera romantici e casti. Mantelli decorati da applicazioni gioiello sono state proposte da Emilio Pucci; colletti virginali hanno sfilato da Chanel e Alberta Ferretti, che ha proposto una collezione dal forte impatto scenografico. Pizzo nero, trasparenze e un mood che ricorda il celebre romanzo “Cime tempestose” di Emily Brontë.

Suggestioni vittoriane anche da Giles, nei colletti bianchi su scamiciati neri e nelle mantelle di ispirazione gotica. Tripudio di bianco da Philosophy di Lorenzo Serafini, in una collezione bon ton in cui non mancano le suggestioni vittoriane.

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Vlada Roslyakova, foto di Pierluigi Maco per Vogue Cina, gennaio 2007
Chanel
Chanel
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Alberta Ferretti
Alberta Ferretti
Alberta Ferretti
Philosophy by Lorenzo Serafini
Philosophy by Lorenzo Serafini
Alexander McQueen
Alexander McQueen
Giles
Giles
Ann Demeulemeester
Ann Demeulemeester
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Givenchy
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Freja Beha Erichen fotografata da Mario Testino per Vogue UK settembre 2011

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Arizona Muse per Vogue UK settembre 2011, foto di Mario Testino


Da Ann Demeulemeester sfila una collezione gotica, in cui il nero prevale su tutto; da Alexander McQueen fitte trame di pizzo e merletti si incontrano con una teatralità degna della maison. Givenchy propone una collezione dark, in cui abbondano i velluti e la seta: un patchwork di tessuti per abiti impalpabili in un fitto gioco di trasparenze.

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Tanga Moreau in “Infanta is Style”, foto di Paolo Roversi per Vogue Italia Settembre 1997
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Ymre Stiekema fotografata da Erwin Olaf per Vogue Netherlands, ottobre 2013

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Shoot firmato Patrick Demarchelier, Vogue UK febbraio 2015



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